La crisi in Siria minaccia Assad e scuote tutto il Medio Oriente

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Rem dalla redazione di REMOCONTRO –

L’offensiva jihadista sostenuta da Ankara fa riesplodere il conflitto siriano. ‘Iribelli jihadisti siriani che da ieri controllano la città di Hama, stanno ora avanzando verso sud verso la città di Homs, a nord di Damasco’, segnala l’Ansa. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riferito di attacchi aerei su un ponte autostradale strategico che collega la città di Hama, controllata dai ribelli, a Homs, di cui il governo sta cercando di impedire la caduta.

La crisi siriana sta ridiventando guerra

«Aerei da combattimento hanno effettuato diversi attacchi contro il ponte Al-Rastan sull’autostrada Homs-Hama, con l’obiettivo di interrompere il collegamento tra le due città e preservare la sicurezza di Homs», riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, la ong con sede nel Regno Unito che dispone di una vasta rete di fonti in Siria. Mentre il leader della coalizione ribelle al-Jolani, dichiara: «la conquista di Hama è compiuta senza vendette». Da ieri i miliziani jihadisti ed ex terroristi Isis-al Qaeda ora divenuti ‘ribelli’ con assoluzione della Turchia, controllano la terza città della Siria, 350mila abitanti. Luogo di tragiche memorie. Come il massacro del 1982 quando un tentativo di rivolta contro Assad padre venne stroncato coi carri armati e vennero trucidate almeno 30mila persone. «Abbiamo ripulito una ferita aperta 40 anni fa», ha scritto al-Jolani su Telegram.

Damasco e l’appoggio russo

Nonostante l’appoggio di raid aerei russi, i rinforzi inviati dal presidente Bashar Al-Assad martedì non sono dunque riusciti a frenare la rapida avanzata dei ribelli iniziata otto giorni fa. Per penetrare in città hanno sfondato da tre lati, costringendo i lealisti a ritirarsi in direzione Damasco dopo una battaglia di poche ore, perdendo di fatto una regione da sempre sotto il loro controllo. Un comunicato del ministero della Difesa diffuso dall’agenzia statale Sana parla di «riposizionamento all’esterno» e di decisione presa per «tutelare le vite dei civili ed evitare combattimenti in aree urbane». Su Telegram il ripiegamento è descritto in maniera ben diversa dal colonnello ribelle Hassan Abdulghany: «Le forze fedeli ad Assad sono in stato confusionale, i comandanti dei reparti governativi abbandonano posizioni e uomini».

Comunicazioni incerte e notizie sospette

La situazione è caotica e hanno costretto alla fuga almeno 280mila persone, denuncia il World Food Programme, che chiede «supporto per soddisfare le necessità in aumento». Stando alle parole del ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov durante la sua visita a Malta, trattative potrebbero però essere imminenti: un incontro ministeriale tra Russia, Iran e Turchia entro fine settimana: «Stiamo lavorando a un accordo con i partner turchi e iraniani». E Ankara -che ha interesse a espandere la sua influenza- già chiede ad Assad «una soluzione politica». Proprio al presidente turco Erdogan si è rivolto pure il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres: «Necessario l’accesso umanitario ai civili in difficoltà e il ritorno al processo politico facilitato dall’Onu per porre fine allo spargimento di sangue».

Nulla accade per caso. Anche l’Iraq oltre l’Iran

Le difese iraniane e filo-iraniane di Aleppo che si sono di fatto sciolte come neve al sole dopo l’attacco israeliano in Libano che ha richiamato su quel fronte tutti gli heszbollah e i pasdaran prima schierati in Siria. Poi il ritiro sorprendente delle forze militari russe dal ‘teatro aleppino’. C’è chi parla di indebolimento della struttura militare russa in Siria, sia dopo lo scioglimento del gruppo di mercenari Wagner sia in seguito alla necessità di rafforzare il fronte ucraino. Limes ha di recente tracciato una mappatura dei poteri locali nell’area coinvolta nell’attuale area di conflitto. L’Esercito delle tribù, formazione sostenuta dall’Iran, combatte ora contro il Consiglio militare creato da Stati Uniti e Pkk curdo, a est della città. Nel frattempo circa 300 combattenti jihadisti sciiti iracheni sono arrivati per sostenere la resistenza governativa.

Ma la Russia dalle sue basi siriane?

Cruciale l’atteggiamento militare e politico di Mosca. Per ora la Russia è rimasta insolitamente a guardare. Alcuni raid aerei russi non appaiono sufficienti per convincere che Mosca abbia la forza (o l’intenzione) di frenare lo sbandamento delle linee sotto il comando formale del presidente Bashar al-Asad. Ma il probabile nuovo ingresso a Homs non rappresenta solo una conquista simbolo. Circondare Homs vuol dire infatti iniziare a pensare all’altra grande città che si trova più a Sud lungo la M5: Damasco. La capitale siriana inizia a essere nel mirino e questo sembra essere stato capito anche dagli stessi vertici del governo. Centinaia di soldati infatti sono stati avvistati lungo le arterie del deserto a Est di Homs, indirizzati precipitosamente verso Ovest: il loro compito, a questo punto, non sarà tenere le aree rurali dell’Est ma, al contrario, difendere il palazzo presidenziale dove vivono gli Assad.

Damasco, Latakia e Taurus

“Chiudere le grandi strade attorno Homs vuol dire anche isolare le province di Latakia e Tartus. Ossia le uniche non raggiunte oggi dalla guerra e le due vere roccaforti della popolazione sciita e alawita. Ma ben oltre, a Tartus è presente la flotta russa del Mediterraneo mentre, più a Nord, a Latakia c’è il quartier generale delle forze di Mosca in Siria. Tagliare fuori questa parte del Paese, vorrebbe dire isolare alcune delle più importanti basi russe. E Mosca questo non se lo può permettere.”

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Articolo a firma Rem dalla redazione di

7 Dicembre 2024