DA REDAZIONE
Dalla redazione di REMOCONTRO –
Le forze ribelli a guida islamica hanno annunciato nella notte la conquista di Damasco e la “fuga” del “tiranno” Bashar al-Assad, riferendosi al presidente della Siria. Spunta l’idea di colloqui tra le parti a Ginevra, ma senza il rais. Gli abitanti della capitale hanno festeggiato nelle strade la caduta del regime dopo 50 anni di governo del partito Baath, mentre i gruppi ribelli annunciavano l’inizio di una “nuova era” in Siria.
Damasco liberata
Dopo il loro ingresso a Damasco, le forze di opposizione si sono dirette nel centro della città ed hanno preso il controllo dell’emittente radiotelevisiva pubblica. I ribelli, inoltre, hanno ‘liberato’ il vicino carcere militare di Sednaya, noto come il ‘mattatoio umano’, dove “le porte sono state aperte per migliaia di detenuti che sono stati imprigionati dall’apparato di sicurezza durante tutto il governo del regime”, ha riferito l’Osservatorio siriano per i diritti umani e rilancia l’Ansa.
Tutti pronti a collaborare
Il primo ministro siriano, Mohammed Ghazi Jalali, si è detto pronto a collaborare con la “leadership” che verrà scelta dal popolo, mentre il capo del gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Sham – Abu Mohammed al-Jolani – ha ordinato alle sue forze di non avvicinarsi alle istituzioni pubbliche di Damasco, “che rimarranno sotto la supervisione dell’ex primo ministro fino a quando non saranno ufficialmente consegnate”, si legge in un post pubblicato su X. Allo stesso tempo, l’esercito siriano e le forze di sicurezza del Paese hanno abbandonato l’aeroporto della capitale.
“In precedenza, Abu Mohammed al-Jolani, aveva parlato di “vittoria storica che distinguerà la verità dalla menzogna”, utilizzando il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa, al posto del nome di battaglia.”
Il destino della Siria?
Ore fatali per ildestino politico della Siria, travolta da una guerra mondiale in corso sul suo territorio da quasi 14 anni, e che si prepara a scrivere una nuova pagina al libro della sua storia millenaria. Il presidente Bashar al Assad, da un quarto di secolo al potere dopo averlo ereditato dal padre Hafez per trent’anni ai vertici del regime, è da più parti indicato come un Rais in fuga mentre gli insorti dal sud e dal nord del Paese sono già a Damasco. Dopo una clamorosa e inaspettata marcia trionfale, cominciata solo dieci giorni fa dalla remota regione nord-occidentale di Idlib al confine con la Turchia, che ha travolto roccaforti governative, russe e iraniane come Aleppo e Hama.
La sorte del Rais
Sulla sorte del Rais, intanto, si riconcorrono le indiscrezioni che lo vedono tutte già fuori dalla Siria, in fuga, nonostante il suo ufficio abbia provato a smentire le voci, affermando che si trova ancora a Damasco. Secondo fonti informate alla Bloomberg sarebbe invece a Teheran, pronto a trattare anche per un esilio sicuro. “Non è in nessuna parte della capitale”, hanno rilanciato anche alcuni media Usa, mentre qualcuno non esclude possa essere anche a Mosca.
Mondo in subbuglio, giostra di incontri
A Doha, in Qatar, intanto si è svolta l’attesa riunione dei ministri degli esteri di Russia, Iran e Turchia. Nelle stesse ore, ma prima che il presidente eletto americano Donald Trump affermasse che non è interesse di Washington farsi coinvolgere nel conflitto siriano, si è riunito nella capitale sul Golfo il quartetto di Paesi occidentali molto vicini a Israele: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania. E secondo fonti presenti alla riunione, a cui hanno partecipato rappresentanti dell’Ue e l’inviato speciale Onu per la Siria, Geir Pedersen, dall’incontro è emersa la volontà occidentale di avviare a Ginevra, la settimana prossima, un processo di transizione politica post-Assad che eviti nuovi spargimenti di sangue e allontani lo spettro del collasso dello Stato siriano (distinto dal regime).
Transizione politica evitando che la Siria collassi
Mettere allo stesso tavolo tutte le parti coinvolte: gli esponenti del sistema-Assad ma non direttamente collusi col presidente e col fratello Maher (a capo della guardia dei pretoriani e considerato vicino agli iraniani) e gli esponenti dell’avanguardia dell’offensiva militare, il gruppo armato Hayat Tahrir ash Sham, guidato dal leader ed ex capo di al Qaida in Siria, Abu Muhammad al Jolani. Nonostante Hts sia definito da anni un “gruppo terroristico” da Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Unione Europea, in Svizzera potrebbero arrivare esponenti di sigle minori ma di fatto legate a Jolani, così da non imbarazzare le cancellerie occidentali.
Assad finito per Libano e Ucraina
Senza più il sostegno di Mosca, impegnata in ben altra guerra, e dei miliziani sciiti Hazbollah e dei pasdaran siriani, la struttura militare e politica della Siria degli Assad si è di fatto sciolta come neve al sole. Gli ultimi sussulti di resistenza lungo l’asse Aleppo-Damasco si sono visti a Homs, crocevia del Paese e porta di accesso per la regione costiera, dove la Russia mantiene la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, entrambe sul Mediterraneo. E’ la stessa regione in cui i transfughi del regime, molti dei quali appartenenti ai clan sciiti-alawiti originari della regione costiera, si stanno arroccando in attesa di un negoziato.
Che nuova Siria rischiamo?
“Soluzione politica e dialogo tra il governo siriano e la legittima opposizione”. A Doha, nel pomeriggio, i ministri degli Esteri del cosiddetto formato Astana – Iran, Russia, Turchia, più l’inviato dell’Onu per la Siria Geir Pedersen. La riunione ha ribadito “la difesa dei principi di sovranità e integrità territoriale della Siria” sottolineando la necessità di un rapido ritorno alla stabilità. “È inammissibile consentire a un gruppo terroristico di prendere il controllo del territorio in violazione degli accordi esistenti, a partire dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”, ha rimarcato il ministro degli Esteri russo Seghiei Lavrov. Il suo collega iraniano, Abbas Araghchi, ha invece sottolineato la necessità di “negoziati e dialogo” tra le parti.
Mosca e Tehran in ritirata, sino a quando?
L’Iran, finora, ha evitato di inviare “boots on the ground”. Nessun militare in campo, nuovo impegno militare e per il momento. Parallelamente Mosca, dopo i primi i raid su Aleppo, sembra aver affievolito la sua azione sul terreno, sebbene Lavrov abbia assicurato anche da Doha “assistenza militare a Damasco”. Il ruolo della Russia è cruciale. Nel 2015, quando il destino di Assad appariva ai più segnato, l’intervento di Vladimir Putin fu decisivo. Attraverso massicci raid aerei e con l’invio di un arsenale militare all’alleato, la Russia riuscì a salvare il regime alawita, legato a Mosca sin dai tempi dagli anni ottanta, quando il partito baathista siriano guidato da Hafez Assad e il Pcus siglarono un trattato di amicizia.
La basi russe sul Mediterraneo
In quegli anni cominciava il rafforzamento della base militare russa a Tartus, città portuale della Siria. Il Paese mediorientale diventava così l’unico sbocco della Russia sul Mar Mediterraneo, facendo della base siriana un pilastro inamovibile della strategia militare del Cremlino. La perdita di Tartus non sarebbe la sola conseguenza grave per Putin. L’arrivo dell’organizzazione Hts al potere cambiare il segno del potere religioso siriano, da sciita a sunnita, portando un potenziale vantaggio al grande avversario dell’Iran nella regione: l’Arabia Saudita. E Riad, già nel corso del primo mandato di Donald Trump, ha mostrato di essere una buona amica del presidente repubblicano.
La Siria disperata che riguarda tutti noi
“La Siria è un Paese di profughi: su 24 milioni 7,2 sono rifugiati interni, costretti a lasciare le loro case e i loro territori, 5,5 milioni sono fuggiti in altri Paesi: maggior parte in Turchia, Libano, Giordania e Germania. Il 90% dei siriani vive sotto il livello di povertà, il 47% dei rifugiati è sotto i 18 anni e un terzo non va a scuola. Tutte le cifre sono dell’Unhcr che teme altre ondate di profughi sia nei Paesi vicini che verso l’Europa.”
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Articolo della redazione di
8 Dicembre 2024