La strage di stato

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Racconto inedito sulla strage di piazza Fontana.
12 dicembre 1977
“La strage di Stato”: edizione Samonà e Savelli, ottobre 1971, nuova edizione aggiornata. Radisol l’ha pescato, mezzo rosicchiato, in una bancarella in mezzo ad una frotta di libri usati. Con due biglietti da mille lire ha scoperto, quello che solo intuiva: lo Stato è una Mafia, con più mezzi. Non ti mette infatti solo le mani in tasca, ma ti schiaccia se lo intralci, con ogni mezzo: per volere di Dio e della Cia.
“La strage di Stato”, pubblicato quando Radisol era ancora un intrepido testa di ca*zo, è una lettura scioccante. Scopri che lassù ai piani alti c’è un “criptogoverno” che unisce fraternamente assassini in giacca e cravatta, assieme a criminali in divisa e stellette. Coadiuvato per i lavori più odiosi da una manovalanza a basso costo: una banda di sociopatici con il culto del duce.
Un’entità superiore che, di volta in volta, assume le sembianze della loggia massonica P2, del Sid, dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, fino ad arrivare alla mente dell’Idra: gli intelligentoni statunitensi.
Il libro è una controinchiesta su quel 12 dicembre 1969. Cosa accadde? Cosa sappiamo? Nella prefazione colpisce subito un dettaglio, solo apparentemente secondario, che la dice lunga sul materiale infiammabile che questo libretto ha scoperchiato.
”Otto copie di Strage di Stato, per il capitano Y, dei carabinieri di San Lorenzo in Lucina”. Dopo meno di un’ora, un altro motociclista: “Devo acquistare quattro copie di Strage di Stato per il signor maggiore X, dei carabinieri di San Lorenzo in Lucina” e, dopo un po’ terzo motociclista che, questa volta, acquista per OAIO, uno degli uffici di informazione dell’Arma. Così, il giorno successivo alla conferenza presso la stampa estera, con cui lanciammo la controinchiesta sulle bombe di Milano, ci rendemmo conto che una ventina di carabinieri venivano messi al lavoro sulle pagine di quel testo. I punti di vendita nei pressi di San Vitale e del ministero degli Interni rimasero sprovvisti di copie nel giro di poche ore. I magistrati, a cui erano stati consegnati in anticipo alcuni esemplari del libro, ne chiesero altri. L’interessamento degli inquirenti era dunque evidente, clamoroso”.
Radisol li vede quei carabinieri correre come trottole per accaparrarsi quante più copie disponibili. Per poi consegnarle, battendo i tacchi, ai loro superiori.
“Avete raccolto tutto?”
“Signorsì”.
“Bene! Chi ha dato la morte lo ha fatto senza dare o lasciare spiegazioni. Leggete, leggete. Forza al lavoro”.
Avrei pensato …
“Non devi pensare, devi leggere e riferire. Chiaro?”
La voce del superiore, nella testa di Radisol, è di Gian Maria Volontè. Quella nel film: “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. La scena: il commissario dell’ufficio politico, fresco di nomina, che arringa una pletora di sottoposti.
“I nostri giovani colleghi devono tornare a scuola, nelle università, nelle fabbriche devono entrare e si facciano crescere la barba, i capelli. Indossino tute sporche di grasso. Noi dobbiamo sapere tutto, dobbiamo controllare tutto. Servendoci anche dei nostri figli, se necessario.”
Il gran finale: “L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite … Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne. La città è malata. Il popolo è minorenne, la città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà”.
Il film, scritto nel ’68 e girato nel ’69 da Elio Petri, finisce nelle grinfie della censura per la rappresentazione che si fa della Polizia e della classe dirigente dell’epoca.
In molti scorgono dietro quella macchietta del potere, le sembianze del Commissario più chiacchierato d’Italia: Luigi Calabresi, accusato del “suicidio” di Pinelli. Nelle sale è un trionfo e si porta a casa pure l’Oscar come migliore film straniero.
“Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alle legge e sfugge al giudizio umano”.
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Alfredo Facchini