Milano: smoke free zone

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Non c’è nulla di male nei divieti e negli obblighi che una qualsiasi comunità impone in nome del bene collettivo, è però lecito domandarsi fino a che punto e a fronte di quante contraddizioni.
In una società liberale certe limitazioni della libertà personale vanno prese considerando dati oggettivi inoppugnabili e non le personali pulsioni di chi comanda o peggio per soddisfare quelle del proprio elettorato. Mi spiego meglio: se l’ottanta per cento dei decessi di utenti delle due ruote coinvolti in un incidente è causato da trauma cranico va benissimo imporre a tutti l’uso del casco, è invece da imbecilli far togliere le scarpe a miliardi di viaggiatori perché uno squilibrato trent’anni fa aveva nascosto in un tacco una quantità di esplosivo che a malapena avrebbe potuto danneggiare un sedile.
Sugli effetti del fumo passivo i dati già controversi per quanto riguarda gli ambienti chiusi diventano inesistenti se parliamo di aria aperta e precipitano nel ridicolo se parliamo di centri urbani la cui principale attività sembra essere la produzione di miasmi di ogni genere.
Se poi pensiamo che da prodotti “antisociali” come le sigarette, l’alcol e il gioco d’azzardo lo stato incassa miliardi almeno il dubbio che queste crociate siano una presa per il sedere ci dovrebbe venire.
E se sto fumando ai regolamentari 10 metri di distanza da altre persone e qualcuno mi si avvicina che faccio, butto via la sigaretta o gli tiro un sasso per allontanarlo?
Hai visto mai che a qualcuno venga in mente di contrastare gli stupri imponendo il chador? Sembra un’esagerazione ma la logica che ci sta dietro non è poi tanto diversa.
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Mario Piazza