DA REDAZIONE
Giovanni Punzo DA REMOCONTRO –
‘Tregua’ dal vocabolario Treccani: «Sospensione temporanea delle ostilità stabilita da due belligeranti per raccogliere feriti, seppellire morti, prendere misure igieniche, chiedere ordini e istruzioni per agevolare trattative».
Dalla guerra del Peloponneso a quelle di Roma. Non sempre «pacta sunt servanda». «I Romani godevano di buona coscienza in mezzo ai crimini». Poi la peggiore modernità.
Dal Peloponneso a Roma
La più antica ed estesa guerra mai raccontata, la guerra del Peloponneso, si interruppe per circa quattro anni tra il 421 e il 418 a.C., ma in seguito a una seria di violazioni dell’accordo le ostilità ripresero: dopo questa prima fase Atene tentò una grande operazione strategica, la spedizione in Sicilia dal 415 al 413 a.C., il cui fallimento condusse tuttavia alla sconfitta definitiva. Non mancarono tregue o brevi periodi di pace anche nel mondo romano, ma assai spesso – a dispetto di articolati accordi stipulati – i Romani li violarono abilmente, riuscendo cioè ad avere ragione sul piano formale per continuare la guerra fino alla ‘debellatio’ (annientamento) dell’avversario.
Il Medioevo e “la tregua di Dio”
La dissoluzione dell’impero carolingio portò in Europa occidentale un periodo di instabilità e in conseguenza di guerre tra diversi signori locali che provocarono un’ondata di violenza generalizzata. Nel corso del concilio ecumenico di Arles e successivamente di Rouen (XI secolo) fu elaborato una sorta di codice che imponeva di astenersi dai combattimenti nella ricorrenza delle principali festività liturgiche (Natale, Pasqua, il periodo della Quaresima e dell’Avvento), ma raccomandava anche di rispettare la festività domenicale.
L’altro aspetto importante fu anche il riconoscimento dell’intangibilità da parte dei belligeranti di eventi profani quali fiere, mercati o feste locali e soprattutto di luoghi di culto, ivi comprese le persone all’interno senza distinzioni tra religiosi, pellegrini o ammalati. Da questi principi ne sorsero altri che sotto diverse forme permangono ancora oggi nelle leggi di guerra.
Indubbiamente fu posto un freno alla violenza bellica indiscriminata, ma bisogna anche ricordare che – sul piano delle sanzioni – si rivelarono altri problemi: trattandosi di sanzioni ecclesiastiche furono comminate scomuniche o imposte penitenze che non scoraggiarono troppo i contendenti. Nel 1214, quando fu combattuta la battaglia di Bouvines, uno degli scontri più distruttivi e sanguinosi del XIII secolo e forse dell’intero Medioevo, era infatti una calda domenica di luglio.
Simon Weil: i Romani e i nazisti
Nel 1939 la filosofa francese Simon Weil pubblicò un saggio intitolato ‘Riflessioni sulle origini dell’hitlerismo’. Il mondo era in guerra e prima dell’attacco alla Polonia, a conclusione del patto di Monaco che pure gli aveva assicurato parte della Cecoslovacchia, il dittatore nazista aveva dichiarato solennemente che avrebbe rispettato i patti con le democrazie occidentali: un po’ come i Romani «pacta sunt servanda».
Secondo Weil invece uno dei punti era proprio questo: i Romani erano stati maestri nel violare i patti sottoscritti. Persuasi nel rifiutare la mera forza bruta, seppero crearsi fama di lealtà e credibilità, basandole però su una durezza esemplare nei rapporti con gli altri popoli. Per fare ciò essi diedero l’apparenza di legittima difesa a ben altre guerre: i Romani – concludeva Weil – «godevano di buona coscienza in mezzo ai crimini».
Un altro aspetto sottolineato fu quello della propaganda e della manipolazione delle pubbliche opinioni, o il diffondere – prima ancora delle ostilità – il sentimento del terrore nell’avversario. Nel 1939 infatti fu anche sottoscritto il patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, patto violato nel giugno 1941 con grande sorpresa dei russi che per poco rischiarono veramente una sconfitta.
Dalla Corea in poi
L’espressione ‘cessate il fuoco’ implica in se molta precarietà, perché si tratta della prima fase di un processo lungo e complicato: il passo successivo è la tregua, altrettanto fragile, cui può seguire un armistizio e solo successivamente un trattato di pace, eppure esistono delle eccezioni delle quali la più eclatante è la situazione coreana. Dal 1953 l’Accordo di ‘armistizio coreano regola I’, situazione che tuttora è congelata: dopo il ritiro della Cina dalla commissione di armistizio nel 1994, si sono verificate – secondo le Nazioni Unite – circa duecento violazioni da parte della Corea del Nord che ha dichiarato sei volte tra il 1994 e il 2013 che non avrebbe più rispettato l’accordo. Eppure, a parte le intemperanze periodiche di Pyongyang, la precarietà resta ancora l’alternativa ad un incubo.
Nel gennaio 1968, grazie alla paziente diplomazia della Santa Sede, fu negoziata una tregua nel conflitto vietnamita: un attacco contro truppe del sud e una base americana la fece saltare pochi giorni dopo e in quell’occasione nemmeno Paolo VI osò pretendere che gli americani porgessero l’altra guancia.
Non ebbero sorte migliore i vari tentativi condotti in Irlanda del Nord o gli appelli rivolti alle fazioni in lotta in Sudan, mentre un doloroso ricordo va alle varie tregue proclamate nella ex Jugoslavia che non portarono a nulla.
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Articolo di Giovanni Punzo dalla redazione di
19 Gennaio 2025