Il trattamento

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Lo stato dei prigionieri rilasciati

Al di là di come la si pensi, finora osservando lo stato di salute degli ostaggi israeliani rilasciati da Hamas, emergono in modo marcato due realtà, che assumono contorni che sfiorano il paradosso.
Da un lato, gli ostaggi israeliani tornano con un corpo che racconta una gestione calibrata della loro sopravvivenza: un’alimentazione sufficiente, un’assistenza sanitaria evidentemente garantita, e un trattamento che sembra almeno evitare l’abbandono alla sofferenza fisica. Questo, sebbene la loro detenzione resti una forma di violenza psicologica, suggerisce una strategia che mira a non superare un limite invalicabile.
Dall’altro lato, si staglia la condizione denunciata dai prigionieri palestinesi, dove le narrazioni di torture, privazioni e condizioni di vita insostenibili continuano a emergere con insistenza. Basta guardare i loro volti stralunati, sfibrati una volta usciti dai lager israeliani.

Strategie diverse?

Si dirà: Hamas è mossa da una strategia propagandistica, volta a ottenere sostegno internazionale o a dimostrare “umanità” nel trattamento dei prigionieri. Ma i fatti sono fatti.
Dall’altra parte, i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane affrontano condizioni degradanti, in violazione di ogni diritto internazionale.
Numerosi rapporti di organizzazioni per i diritti umani (come Amnesty International, Human Rights Watch e B’Tselem) documentano l’uso di torture fisiche e psicologiche, in particolare durante gli interrogatori. Questi metodi includono privazione del sonno, isolamento prolungato, abusi fisici e pressioni sui familiari.

La “detenzione amministrativa”

Migliaia di detenuti palestinesi sono in carcere senza accuse formali o processi, in base alla famigerata politica della “detenzione amministrativa”: un labirinto senza processo né fine.
Israele ha un sistema giudiziario militare per i palestinesi nei Territori Occupati, che presenta tassi di condanna estremamente alti (oltre il 99%), mentre i cittadini israeliani sono processati da tribunali civili.
La narrazione mediatica contribuisce poi a giustificare questa asimmetria. Gli ostaggi israeliani sono presentati come vittime innocenti e la loro liberazione diventa una priorità nazionale, mobilitando sostegno sia interno che internazionale. I prigionieri palestinesi, invece, vengono etichettati come “terroristi”, deumanizzandoli agli occhi dell’opinione pubblica.

Entrambe le parti violano le norme internazionali

Mentre entrambe le parti violano le norme internazionali in modi diversi, i prigionieri palestinesi non sono semplicemente incarcerati; sono inghiottiti da un sistema che codifica la punizione come regola e l’umanità come eccezione, in una realtà che rende la giustizia un miraggio. Privati di sonno, di contatti umani, persino del diritto al tempo, i prigionieri si trovano in bilico tra l’essere e il non essere.
Come un veleno diluito nel sangue, questo trattamento non è sporadico; è strutturale, specchio brutale della disuguaglianza che permea ogni aspetto della vita sotto occupazione. La loro prigionia è una cicatrice collettiva, un’ombra che si allunga sulle famiglie, sui villaggi, su un popolo.
Mentre il mondo osserva e giudica, la sofferenza si rinnova nel silenzio.
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Alfredo Facchini