Olocausto, memoria dovuta ma non strabica

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Dalla Redazione di REOCONTRO –

Se il ‘diritto universale’ fosse meno ipotetico, né il premier di Israele, lo Stato nato sulle ceneri della Shoah, né l’attuale presidente delle truppe russe che per prime hanno liberato quel campo degli orrori, potrebbero partecipare ad Auschwitz, all’80° anniversario della liberazione del più famigerato dei campi di sterminio, perché sarebbero arrestati per crimini contro l’umanità.

Memoria di quel giorno, 80 anni fa

Era il 27 gennaio 1945 quando i soldati della 60° divisione di fanteria dell’Armata rossa raggiunsero Auschwitz, nella Polonia meridionale. Primo Levi vi era stato deportato un anno prima: lì, nel Lager di Buna-Monowitz, con gli altri sopravvissuti.

«La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sómogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera… Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo»

(P. Levi, La tregua).

Quel «nulla pieno di morte»

Forse basta evocare la scena dell’incontro fra quelle due ombre emerse dal «nulla pieno di morte» e quei quattro reduci di tutte le battaglie di Russia, sopravvissuti agli oltre venti milioni di morti che la vittoria nella «grande guerra patriottica» era costata, per sentire l’enormità del paradosso di fronte al quale ci troviamo oggi. Putin non ci andrà certamente, ad Auschwitz: nei suoi confronti il diritto internazionale è meno ipotetico, anche se il doppio standard lo rende peggio che astratto, iniquo.
Per Netanyahu, premier dello Stato «nato sulle ceneri della Shoah» non sono mancate le rassicurazioni da parte dei leader europei, innanzitutto quella del premier polacco Tusk, il quale già il 9 gennaio ha annunciato che «chiunque verrà a Oswiecim per le celebrazioni ad Auschwitz avrà garanzia della propria sicurezza e non verrà trattenuto». Chiunque? Non esageriamo. «Che si tratti del primo ministro, del presidente o del ministro dell’istruzione di Israele». Putin non è citato.

Nella memoria dell’orrore la vergogna

Una strizzatina d’occhio nei confronti degli amici israeliani, una scappatoia e insieme un insulto alla Corte penale internazionale. L’esecuzione dei mandati di cattura è responsabilità dei tribunali, non dei capi di stato o di governo. Ma lo spettacolare e tragicomico rilascio del torturatore libico e volo di Stato italiano, supera tutto l’immaginabile dell’indegno. Ben oltre le immunità d’opportunità del caso di Netanyahu. Pensare che la Corte penale internazionale nasce proprio in Italia, ci ricorda il manifesto, «istituita nel 1998 con lo Statuto di Roma, per merito di grandi giuristi come Giuliano Vassalli e Antonio Cassese, eredi del principio kantiano che la responsabilità penale personale di statisti e politici nell’esercizio del potere non può essere ‘scudata’ dalla loro carica istituzionale».

Corte di giustizia antisemita?

Il 26 gennaio dell’anno scorso l’altra Corte dell’Aja, si pronunciava sull’accusa di genocidio nei confronti di Israele nella sua risposta all’eccidio del 7 ottobre: accusa non archiviabile e fondata. La quasi coincidenza fra quella pronunzia e il giorno della memoria criticata da più parti. «Ma proprio quella pronunzia, per quanto disattesa nelle sue conseguenze, riscattava l’universalità della memoria della Shoah e l’assolutezza del suo mandato morale. Mai più, e per nessuno. Mentre lo spregio alla Corte penale internazionale piega perfino la Shoah al gioco dei potenti e riduce un imperativo morale a scudo politico per ogni nuova efferatezza, purché ‘di parte nostra’», la considerazione della prestigiosa filosofa Roberta De Monticelli.

Lacrime di coccodrillo

Ancora più diretto sull’attualità di ciò che sta accadendo in Israele tra Gaza e Cisgiordania occupata, Ariel Toaf, figlio dell’ex rabbino capo di Roma Emilio Toaff, Ariel Toaff è professore emerito all’Università Bar-Ilan di Ramat Gan (Tel Aviv) dove ha insegnato Storia del Medioevo e del Rinascimento.

«Lacrime di coccodrillo. L’identificazione di molte comunità italiane, Roma e Milano in testa, con la politica di Israele e di Netanyahu, senza se e senza ma, ha già provocato prevedibili danni, indipendentemente dagli antisemiti che abbaiano a comando. L’equazione ebrei italiani = italo-israeliani, non solo non è vera ma è cervellotica e dannosa. Chi decide di emigrare in Israele dall’Italia lo faccia e avrà tutto il mio plauso. Chi invece decide di continuare a vivere nella penisola, ed è un suo diritto, per favore si astenga dal distribuire consigli e sparare giudizi. Il Giorno della Memoria non è un’occasione per esibirsi».

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Articolo della Redazione di

27 Gennaio 2025