Un piano criminale

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Chi poteva essere il primo straniero a varcare la soglia della Casa Nera del golpista Trump, se non un criminale di guerra: Benjamin Netanyahu. In un paese decente, il leader dei nazi-sionisti sarebbe finito in manette, e invece l’Amerikano gli ha riservato tutti gli onori del protocollo.

“Pulizia etnica” a sfondo affaristico, sulle macerie di Gaza

Arriviamo subito al succo di questo sconcio diplomatico.
Il primo sproloquio. Trump a Netanyahu: “Controlleremo noi Gaza, palestinesi via per sempre. Sarà la nuova Costa Azzurra”.
E ancora. Truppe Usa a Gaza? “Se necessario, lo faremo”. Insomma, Gaza diventa roba americana.
Il presidente Usa ha rimarcato in conferenza stampa la necessità che i palestinesi dovrebbero andare in altri Paesi, senza nominarne nessuno in particolare: “Potrebbero essere dei siti o potrebbe essere un unico grande sito”. Basta che sloggino.

Forse neppure Netanyahu sperava tanto

Netanyahu, in brodo di giuggiole: “Sei il migliore amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca. Il piano di Trump per Gaza può cambiare la storia”.
Il golpista come souvenir ha poi regalato a Netanyahu la revoca del blocco imposto dalla precedente amministrazione Biden sulla fornitura di bombe da 2.000 libbre (900 kg) e ha promesso armamenti del valore di circa 1 miliardo di dollari.

L’ultima sparata di Trump è sull’Iran:

”Ho lasciato istruzioni: se mi uccideranno, saranno annientati, non rimarrà nulla”.
Passiamo alla realtà. Finora l’Egitto e la Giordania hanno risposto no all’idea di trasferire tutti i palestinesi, e anzi, cinque ministri degli Esteri arabi hanno inviato una lettera al Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, per esprimere la loro totale opposizione all’idea di pulizia etnica. I firmatari Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto e Giordania chiedono che i palestinesi guidino la ricostruzione di Gaza con il supporto internazionale.

Repliche all’ultima follia dei due “soci in affari”

Hamas: “Il piano di Trump per Gaza è ridicolo. Serve fine occupazione, non espulsione da Gaza”.
Riyad: “No a normalizzazione con Israele senza soluzione a due stati”.
Pechino: “Siamo contrari al trasferimento forzato dei residenti di Gaza”.

L’Occidente accetta, solo quando conviene, la logica brutale della forza che viola ogni regola

Al di là della sfrenata megalomania dell’Inquilino della Casa Nera, ciò che desta orrore è la disinvoltura con cui l’Occidente accetti come prassi consolidata l’idea che una nazione possa, di propria iniziativa, impadronirsi di un altro Stato e ridurlo a un mero protettorato. Questo arbitrio si fonda su un principio tanto implicito quanto inquietante: l’idea che esistano soggetti per cui le regole non valgano, potenze che possono violare il diritto internazionale senza conseguenze. È la logica brutale della forza che si traveste da ordine, del dominio che si autolegittima.
Dire “lui lo può fare” significa sancire, in modo tacito ma inequivocabile, una gerarchia di nazioni in cui alcuni attori godono di un diritto esclusivo all’arbitrio, mentre ad altri è concesso solo di subirlo. Significa accettare che l’equilibrio internazionale non si regga su principi condivisi, ma sul capriccio di chi ha i mezzi per imporsi.

Come era la questione “aggredito/aggressore?” Basta ipocrisie!

E così, un atto che altrove, con attori diversi dagli attuali, verrebbe bollato come aggressione diventa, nella narrazione dominante, una strategia di stabilizzazione; un’invasione si trasforma in missione di sicurezza; l’assoggettamento di un popolo viene dipinto come protezione. È la politica ridotta a un gioco di specchi, dove la prepotenza si maschera da responsabilità e il sopruso da necessità storica.
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Alfredo Facchini