DA REDAZIONE
Fulvio Scaglione da REMOCONTRO –
«Donald Trump si è assunto, come sempre, il ruolo della rana dalla bocca larga, andando avanti a far capire prima, e dire apertamente poi, che un dialogo con la Russia era stato ripristinato», la premessa di Fulvio Scaglione. Putin ha parlato solo per dir male di Zelensky (presidente illegittimo, secondo il Cremlino) ma ha lasciato che il suo portavoce dicesse che i contatti con gli Usa proseguono con un certo profitto, annota Inside Over. «Aggiungendo di contatti tra diversi dipartimenti, facendo così pensare a colloqui ad ampio spettro, forse legati non solo a un cessate il fuoco sul campo di battaglia. Aspettiamo e vedremo».
Dal Cremlino alla Casa Bianca
Nel frattempo, proprio perché dalle parti della Casa Bianca si parla di più, abbiamo sentito Keith Kellogg, l’inviato speciale di Trump per la crisi Ucraina, dire che, in caso di cessate il fuoco, Zelensky dovrebbe convocare elezioni presidenziali e parlamentari. E Trump disquisire sul fatto che la Russia forse aveva le sue ragioni nel chiedere per anni che la Nato si tenesse alla larga dall’Ucraina, e che comunque quella postura del Cremlino andava presa in considerazione.
La strada stretta di Zelensky
Come si diceva, aspettiamo e vedremo. Per il momento, però, è comunque possibile qualche considerazione non accessoria. La prima è che Volodymyr Zelensky, il comico diventato presidente nel 2020 e dal 2022 condottiero della resistenza ucraina all’invasione russa, sembra avviato lungo una strada molto stretta e impervia, che sembra portarlo verso un’inesorabile rottamazione. Zelensky non è un presidente ‘illegittimo’, come dice Putin, perché la Costituzione ucraina prevede che non si tengano elezioni con la legge marziale in vigore, legge marziale che è in vigore dl 25 febbraio del 2022, il giorno successivo all’invasione. Ovviamente Putin lo sa. Questo è il suo modo di vendicarsi di Zelensky e di chiedere agli americani garanzie per il futuro: se Zelensky firmasse un accordo e un suo successore lo revocasse?
Le elezioni dell’addio
Resta il fatto che chiedere a Zelensky di convocare elezioni appena siglata una tregua equivale (quasi certamente) a chiedergli di uscire di scena: da tempo non è il personaggio più popolare del Paese e l’istituto Gallup ha certificato con la sua più recente ricerca che il 52% degli ucraini ora chiede la pace il prima possibile, anche a costo di rinunciare a una parte dei territori occupati dai russi. La ricerca è del 2024 e ora siamo nel 2025, difficile che l’umore sia cambiato. E a testimoniare quant’acqua sporca di sangue sia passata sotto i ponti, basta ricordare che nel 2022 (sempre Gallup) la percentuale degli ucraini che volevano combattere e non trattare era del 73%.
Il discorso sulla Nato e sulla bomba atomica
Non abbiamo mai creduto che, a dispetto dei molti proclami dell’ex segretario Nato Jens Stoltenberg e dei diversi politici sulle due sponde dell’Atlantico, nella pancia dell’Alleanza ci fosse questa gran voglia di prendere a bordo l’Ucraina (e se per questo, nemmeno nella Ue). Molto più facile riempirla di armi, aiutarla con l’intelligence e i satelliti di Elon Musk e rendere il suo esercito interoperabile con le strutture Nato, che correre il rischio di farsi trascinare in una guerra. Resta il fatto che l’ingresso nella Nato era, agli occhi di Zelensky, la prima tra le “garanzie di sicurezza”. Tanto che, preso atto dell’inclinazione di Trump, il presidente ucraino ha rilanciato chiedendo la bomba atomica.
“Facile giudicare quanto possa essere realistica la prospettiva che gli Usa (o la Francia o il Regno Unito) possano consegnarne una o più a un Paese oggi disastrato come l’Ucraina. La sensazione generale è che alla Casa Bianca considerino ormai Zelensky uno scomodo impiccio, al meglio il protagonista di una stagione che va comunque chiusa.”
Sulla testa dell’Europa
La trattativa tra Usa e Russia, al momento, sembra dunque passare sulla testa del presidente Zelensky. E la sensazione è identica se pensiamo all’Unione Europea, che lo stesso Zelensky peraltro non cessa di volere al tavolo delle trattative. Non c’è stato un solo segnale di un’intenzione, da parte di Trump e dei suoi, di voler coinvolgere Bruxelles nel processo in corso. La Casa Bianca parla con il Cremlino, stop. Cosa che ai dirigenti russi certo non dispiace: il loro disprezzo per le autorità europee, giusto o no che sia, è di vecchia data. Basta ricordare il trattamento quasi umiliante imposto da Sergej Lavrov a Josep Borrell e all’allora ministra degli Esteri inglese Liz Truss negli ultimi incontri prima dell’invasione. La ripresa dei contatti tra la parte americana e quella russa ha lasciato col cerino in mano l’Unione Europea, che ha affidato a due personalità baltiche la politica estera e di difesa e ora continua a parlare di armi, di resistenza e di sconfitta russa quando la realtà è già molto più avanti. La stessa sindrome di cui è affetta la Nato, altrettanto trascurata da Trump, che per bocca del segretario generale Mark Rutte esprime gli stessi concetti. E ottiene gli stessi risultati.
E si torna da dove si era cominciato
“In buona sostanza, il discorso sta tornando laddove era cominciato, ovvero allo scontro strategico tra Usa e Russia per interposta Ucraina, esattamente come lo era stato in Siria. Con gli Usa che portano a casa il brutale distacco tra Europa dell’Ovest e Russia (con conseguente schiacciamento dell’Europa sugli Usa) e la probabile trasformazione dell’Ucraina in un Israele d’Europa, ovvero uno Stato fortezza legato agli Usa piantato nel cuore del Vecchio Continente, a completare la cintura di contenimento (anti-Russia ma anche anti-Ue) già formata da Romania, Paesi Baltici e Polonia. All’Unione Europea e alla signora Von Der Leyen la subordinazione strategica alla Nato, un modello economico andato in frantumi e tanti appassiti sogni di gloria.”
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Articolo di Fulvio Scaglione dalla redazione di
8 Febbraio 2025