DI ALFREDO FACCHINI
«Prenderemo Gaza, la possederemo». E ancora: «Se Hamas non libera gli ostaggi, scoppierà l’inferno».
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In queste ore ci si chiede: ma il golpista fa sul serio? È solo retorica imperiale? Minacciare l’inferno a chi già brucia, promettere paradisi su terre altrui, in psichiatria è roba da sociopatici. Peccato che sia alla guida di uno Stato Canaglia.
«Il linguaggio delle minacce complica solo le cose»,
sussurra un portavoce di Hamas, mentre Trump risponde con la logica del pugile: «Colpire prima, negoziare dopo». Netanyahu ridacchia, vedendo nel caos un’opportunità. Il mondo osserva, diviso tra orrore e indifferenza, mentre i leader arabi tuonano: «È pulizia etnica», consapevoli che accogliere i profughi significherebbe far esplodere fragilissimi equilibri interni.
E poi soprattutto ci sono loro: i palestinesi.
Perché dovrebbero lasciare? È casa loro. La risposta è una gabola da mercante: «Costruiremo alloggi migliori altrove», come se l’anima di un popolo si potesse traslocare. La terra è radice, è sangue, è memoria. Non si possiede, si custodisce. Non si può abbandonare una storia, perché la storia non appartiene solo a chi resta, ma anche a chi non c’è più. Gaza non è solo un luogo: è la voce di chi l’ha amata, il silenzio di chi l’ha perduta, l’eco di un popolo che ancora resiste.
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Ma è solo marketing?
Il neocolonialismo del sociopatico, forse è solo marketing da real estate: trasformare la Striscia di Gaza in un Eden di resort e palmeti, costruito sulle ossa di due milioni di esuli, è un’idea che persino lui sa essere irrealizzabile. Ma poco importa: l’ha detto, e se non accade, la colpa sarà degli altri che glielo impediscono.
Di certo, come sempre accade con Trump, nulla è mai solo quello che sembra.
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Alfredo Facchini