DA REDAZIONE
Antonio Cipriani da REMOCONTRO –
“Praticare un confine significa percorrere il bordo sul quale le conoscenze si contagiano.” [cit. Lucio Saviani, filosofo]
Se il centro esplode è necessario abitare l’instabilità fertile del confine e mettersi quindi alla periferia della storia.
Sul margine degli esercizi di un potere che sembra indiscutibile, geograficamente e culturalmente, per osservare con uno sguardo-attraverso che agisce da dentro e da fuori. “Cioè con quel tanto di volontà e irrazionalità e magari arbitrio che permettono di spiazzare – magari con un occhio a Wittgenstein – la realtà, per ragionarci sopra liberamente”. Questa frase di Pasolini, a distanza di cinquanta anni, continua ad esercitare il mistero delle cose giuste, a farci vedere l’invisibile, scegliendo nella cartografia dei sentimenti la periferia, il margine in cui i limiti si sfrangiano e dove si rigenera il centro dei pensieri, la soglia dell’abitare nella relazione con il mondo.
A me viene anche facile l’elogio del margine.
Un po’ per quel “che di anarchico” che scorre nelle vene, un po’ per essere nato in periferia. Per essere cresciuto nelle lande polverose della provincia romana, vista Tiburtina, tra alberi rinsecchiti dal giallo del vento, luoghi di spontaneità sovversiva, osterie, praterie disabitate, incontri magici con eretici, operai intellettuali, preti comunisti, filosofi e poeti che in tasca avevano la dolcezza della libertà e mai l’obbedienza allo scintillante potere. Perché prima del crollo del buon vivere comune, e delle ideologie che lo innervavano, lo “scintillante potere” era il nemico e non aveva effetto sui ragazzacci che tenaci volevano cambiare il mondo. E lo facevano senza mezzi, senza paura, senza individuare nel successo l’obiettivo finale.
“Tra quei profumi, lungo le serate infinite di discussioni, politica, poesie a braccio e teatro, sempre teatro, abbiamo forgiato lo spirito critico e lo sguardo disobbediente. È sempre stato naturale pensare alla giustizia sociale, alla solidarietà, allo stare dalla parte di chi soffre, di chi ha meno, di chi è fragile. Sempre naturale il dissenso, soprattutto in una società miope che non guarda al futuro e considera il consenso una forma di merito da esaltare.”
E oggi siamo qui, sul margine sfrangiato del nostro tempo, a dare il fiore e credere nella lotta.
Al fianco dei ragazzi e ragazze più giovani e più barbari, quelli che non praticano l’esercizio dell’obbedienza finalizzata alla propria realizzazione di figurine nel mondo conformista e pessimo. Loro ballano, sognano, pensano a un futuro meno pavido. Mettono le loro idee, il loro corpo, la creatività sul confine della storia, perché ogni pensiero ribelle, sovversivo, non abita il centro lucidato del potere ma gli spazi di cambiamento e incontro tra generazioni, culture, geografie. Ci sorprenderanno. Ne sono sicuro.
“D’altra parte il margine – e così termina l’elogio – non è forse lo spazio filosofico del “possibile sorprendente”?”
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Articolo di Antonio Cipriani dalla redazione di
23 Febbraio 2025