DA REDAZIONE
Ugo Tramballi da REMOCONTRO –
«C’è il grande piano chiamato ‘Gaza Riviera’, prodotto dell’imperialismo immobiliare di Donald Trump», ci ricorda Ugo Tramballi su ‘Diplomacy’, avendo tutti in memoria le immagini vergogna della nuova Gaza americana proposta da Trump-Musk che vi riproponiamo sotto. E scopriamo che ci sono un altro paio di progetti creati l’anno scorso da consorzi pubblico-privati con l’approvazione dell’Onu. Infine quello più credibile presentato l’altro giorno dalla Lega Araba, al Cairo.
Gaza pensata dalla Lega Araba
La sua fattibilità è la più concreta per molte ragioni. Non solo perché, ovviamente, non prevede lo spostamento di due milioni di gazawi da qualche parte del Medio Oriente. Il progetto intende ricostruire la striscia come era prima: come la potrebbero immaginare i suoi abitanti, non come la intenderebbe un immobiliarista di Las Vegas o i progettisti di Dubai
E’ più fattibile anche perché i costi previsti sono alti ma non così tanto come farebbe pensare la distruzione causata dalla guerra. La gestione della striscia dovrebbe essere affidata a un gruppo di tecnocrati indipendenti dai partiti che compongono l’arcipelago politico palestinese: governeranno fino a quando sarà possibile organizzare le elezioni per il rinnovo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Infine quella uscita dal Cairo è un’iniziativa più consona alla realtà regionale perché i suoi fautori – sauditi, Qatar, Emirati ed egiziani, per ordine d’importanza politica ed economica– sono i paesi che più contano nella regione. Anche sul piano diplomatico, quando si dovesse aprire il capitolo sul futuro politico di Gaza.
Problema chiave irrisolto, quello politico
E qui arriviamo al vero nodo. Il problema della ricostruzione della striscia non sono i soldi. Regni ed emirati del Golfo ne hanno più di quanto basti; e sarebbero lieti di partecipare, contribuendo a dare uno sbocco alla questione palestinese. Il problema che impedisce di fissare date sul calendario per l’apertura dei cantieri è come sempre politico.
I soldi ci sono ma nessuno rischia di investire su Gaza fino a che comanda Hamas. Non lo vogliono sauditi ed egiziani che detestano il movimento dei Fratelli Musulmani (Hamas è il partito palestinese della fratellanza); non gli americani chiunque occupi la Casa Bianca; non gli europei e, non occorre ricordarlo, gli israeliani.
Governo di tecnici già di fatto
Hamas ammetterebbe l’esistenza di un governo di tecnici perché non è interessato a governare. Non lo ha mai fatto: a Gaza i ministeri, la gestione della sanità, dei commerci, la burocrazia sono sempre state garantite da personale assunto e stipendiato dall’Autorità palestinese di Ramallah, attraverso l’aiuto internazionale. O direttamente dal’Onu. I milioni che regolarmente entravano via Qatar, sempre col consenso internazionale, non erano spesi per costruire scuole e ospedali ma per scavare tunnel e armarsi.
E’ nella cultura dei movimenti religiosi terroristico-militaristi. Anche Hezbollah sciita libanese non ha mai avuto l’intenzione di occuparsi della gestione di quel paese, pur essendo partito e setta maggioritari. Ciò che conta è l’agenda del movimento: pretendere di avere un ruolo geopolitico nella regione come fosse uno stato, comportandosi esattamente come uno stato dentro lo stato libanese: impedendo alle istituzioni di riformarsi, di eleggere i suoi rappresentanti, di risolvere i suoi gravi problemi economici.
Ruolo geopolitico e Israele
Hamas ha tentato di diventare questo e in parte ci è riuscito: ha saputo resistere a oltre 15 mesi di guerra con le forze armate più potenti della regione e ora non ha alcuna intenzione di disarmare e scomparire dalla striscia durante l’ipotetica ricostruzione. I suoi capi hanno già detto che chiunque sostituisse gli israeliani a Gaza, sarebbe considerato un occupante e trattato come gli israeliani.
E poi, appunto, gli israeliani. “Ora lavoriamo per seppellire definitivamente l’idea pericolosa di uno stato palestinese”, commentava Bezalel Smotrich, ministro estremista del governo Netanyahu, quando Trump aveva annunciato il progetto della sua Riviera. Per gli israeliani eliminare Hamas non basta: non vogliono che a Gaza né nella Cisgiordania occupata nasca uno stato palestinese.
Nessuna conversione “siriana” per Hamas
Questo non cambierebbe neanche se gli islamisti palestinesi rinunciassero alla lotta armata, riconoscendo il diritto israeliano di esistere e annunciando di seguire il percorso della moderazione. L’ipotesi comunque non sussiste, non se ne vedono i segni: il virtuoso percorso politico del siriano Ahmed al-Shara non è un’opzione per Hamas.
Il dubbio per gli israeliani è se ri-colonizzare Gaza, annettere tutta o parte della Cisgiordania occupata, incentivare o forzare l’esodo dei palestinesi. E’ tutto il contrario di ciò che chiede il resto del mondo. Soprattutto quei paesi arabi che dovrebbero pagare per la ricostruzione: sauditi, egiziani e gli altri non rimuoveranno neanche le macerie di una casa fino a che non si aprirà un negoziato sul futuro della Palestina.
Stato palestinese e Cisgiordania
Donald Trump può anche minacciare di scatenare l’inferno – che a Gaza conoscono già – se Hamas non libera tutti gli ostaggi israeliani ed esce di scena. Ma neanche questo basterebbe senza un’ipotesi di stato palestinese. Hamas dunque non vuole cedere e Netanyahu non intende concedere. Questi sono i veri nemici di un qualsiasi compromesso.
C’è un ultimo problema, da mesi rimasto fuori dal cono di luce della guerra a Gaza: la Cisgiordania, i territori occupati le cui città e campagne palestinesi stanno subendo quasi la stessa brutalità che gli israeliani hanno riservato ai palestinesi di Gaza. Di che pace e di quale ricostruzione della striscia si può parlare, se in Cisgiordania la guerra continua?
Tragiche realistiche previsioni
“Allo stato delle cose la ricostruzione non ci sarà. La tregua reggerà forse per un altro paio di mesi, qualche altro ostaggio israeliano e prigioniero palestinese verrà liberato. I bombardamenti israeliani riprenderanno e Hamas tornerà nei suoi tunnel; Bibi Netanyahu resterà al potere col suo governo di estremisti e i gazawi cercheranno di sopravvivere fra le macerie. Lo stato palestinese continuerà a restare un’idea e il “Nuovo Medio Oriente” sarà uguale a quello vecchio.”