DI PIERO ORTECA
Dalla redazione di REMOCONTRO –
Tutto secondo copione. Il ‘tempo continua a essere la discriminante più importante, nelle trattative di pace che riguardano l’Ucraina. Oggi, Trump e Putin si parleranno ufficialmente, dopo che però, nelle settimane scorse, i loro ‘sherpa’ diplomatici hanno tessuto una fittissima tela di contatti e abboccamenti come non avveniva da anni. Da ciò che trapela, sappiamo che la Casa Bianca si sta muovendo su più tavoli, parallelamente.
La ragnatela del dialogo
I colloqui in Arabia Saudita, sono stati seguiti da Marco Rubio e dai funzionari del Dipartimento di Stato, mentre a Mosca ha lavorato l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff. Nel gioco delle relazioni internazionali, il fatto che il Presidente americano abbia annunciato il contatto telefonico di oggi, significa una cosa sola: alla fine della giornata verrà annunciato qualche progresso. In sostanza, come abbiamo più volte ribadito, i due leader sono già d’accordo su diversi punti della bozza d’intesa e aspettano solo che maturino (velocemente) alcune condizioni, a cominciare dalla controffensiva russa nell’oblast di Kursk. Pare che il Cremlino, su questo punto, sia stato irremovibile. Non ci sarà nessun cessate il fuoco, prima che le residue truppe ucraine siano ricacciare indietro dalle ultime sacche di territorio che avevano conquistato a sorpresa. I russi ne fanno quasi una questione di principio. D’altro canto, pare di capire che uno dei timori di Mosca (paradossalmente) sia la buona fede a trasformare il cessate il fuoco temporaneo in una vera e propria pace duratura.
Tra “cessate il fuoco” e “pace”
Sul campo di battaglia, l’Ucraina sta chiaramente perdendo e Putin sospetta che i suoi avversari cerchino di barare. Cioè, sfruttino la pausa nei combattimenti per rifornire e rianimare le forze armate di Kiev, per poi ripartire al contrattacco. O, comunque, riprendere le trattative da una posizione di forza diversa. Naturalmente, secondo Putin, «il partito della guerra» ormai si annida a Bruxelles e a Londra, con Parigi e Berlino che fanno da sponda. E in questo senso, gli Stati Uniti vengono addirittura percepiti come dei potenziali «alleati diplomatici», mentre l’Europa diventa il crocevia di interessi composti. Come abbiamo già avuto modo di scrivere, è tutto molto chiaro. Nel Vecchio continente, esiste un «progetto multinazionale», che sfrutta le crisi geopolitiche come valvola di sicurezza per i mercati e per cercare di tenere a galla il settore manifatturiero. La saldatura tra élites di governo, grande finanza e industria ad alta tecnologia chiude un cerchio, che usa la costante minaccia di un rovinoso conflitto come motore per una garanzia della domanda. Come nel modello tedesco, il quale offre un teorema interpretativo che può farci capire la logica più profonda del ‘ReArm Europe’.
Trump anche troppo chiaro
D’altro canto, è lo stesso Trump ad avere spiegato, ai giornalisti, quali siano ancora tutti i possibili ostacoli sulla strada dell’intesa. Non si tratta solo di cessioni di territori. E della necessità di trovare la formula diplomatica migliore, per cercare di indorare la pillola e fare accettare agli ucraini dolorose concessioni. No, esiste anche un problema più sostanziale, che riguarda gli asset economici e produttivi, a cominciare dall’energia. Il Presidente americano ha detto: «Parleremo di questo». Anche se, per gli addetti ai lavori, lo scoglio più grosso da superare rimane quello delle «garanzie di sicurezza». Come proteggere il futuro dell’Ucraina, senza farla entrare nella Nato? E qua le ipotesi si sprecano, anche se ormai si è capito che i russi non accetteranno mai forze armate di interposizione europee. E questo perché sia l’Unione che il Regno Unito vengono percepiti come ‘controparti’, assolutamente inadeguate a svolgere funzioni di mediazione e di «peacekeeping». In ogni caso, la confusione organizzativa regna sovrana. E anche, verrebbe quasi voglia di dire, la sovrapposizione delle funzioni tra organismi che rischiano di pestarsi i piedi a vicenda, pur di soddisfare le esigenze di politica interna dei singoli leader che le propongono.
I “volenterosi” e chi difende chi
Come il caso di Keir Starmer nel Regno Unito e della sua cosiddetta «Coalizione dei volenterosi». Un’armata Brancaleone di 30 Paesi, che dovrebbe garantire la futura linea del cessate il fuoco in Ucraina, intervenendo se necessario per contrastare eventuali violazioni. Tutto ciò sulla carta, perché passando poi dalle parole ai fatti, ci si accorge che nella proposta inglese, fatta la legge si trova l’inganno.
“Ecco quello che scrive a questo proposito, lapidario, il Wall Street Journal: «La Russia ha esplicitamente respinto qualsiasi tentativo da parte dei Paesi occidentali di inviare truppe in Ucraina, anche dopo un accordo di pace. Molti Paesi occidentali, tra cui il Regno Unito, hanno affermato che qualsiasi operazione avrebbe comunque bisogno di una garanzia che gli Stati Uniti interverrebbero se le truppe di mantenimento della pace venissero attaccate. L’Amministrazione Trump non ha fornito un’assicurazione esplicita al riguardo. Insomma, dicono i ‘leoni’ inglesi ed europei, «noi difenderemo l’Ucraina, se però qualcuno si impegnerà a difendere noi». Purtroppo, è il caso di dirlo, siamo in queste mani.”
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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di
18 Marzo 2025