L’economia americana contro il mondo, ma il dollaro trema

DI ENNIO REMONDINO

 

Dalla redazione di REMOCONTRO – 

Il fine settimana economico peggiore del secolo. Venerdì, per le borse è stato il giorno peggiore dal Covid-19, la borsa di Milano in picchiata come l’11 settembre. Lunedì, oggi, di male in peggio: Tracollo dell’Europa all’avvio degli scambi, a Milano molti titoli fanno fatica ad aprire, il primo indice segna -6,4%, precipitano le banche. Pesanti Londra e Francoforte. Sale lo spread. In calo petrolio e gas. Tokyo crolla del 7%. Sprofondano anche Seul e Sydney. Petrolio sotto i 60 dollari per la prima volta dal 2021. Trump vaneggia: «È il momento di diventare più ricchi che mai». Forse lui ma non gli stessi americani

Stati Uniti “Super prepotenza”

L’Asia affonda con i dazi Usa, Tokyo a -6% e Hong Kong a -10,7%. Le Borse asiatiche alla riapertura dei mercati accusano il temuto tracollo, per le incertezze scatenate a livello globale dagli ultimi dazi di Donald Trump che hanno aumentato i timori di recessione. Goldman Sachs, a conferma delle preoccupazioni degli investitori, ha appena portato dal 35% al 45% la probabilità che gli Stati Uniti finiscano in recessione nell’arco dei 12 mesi. Venerdì la Cina ha varato contro-dazi del 34% su tutto l’import di beni americani, parte di un pacchetto di ritorsioni più ampio. Timori di una dura guerra commerciale planetaria in piena regola.

“America first” o delirio di onnipotenza?

In attesa di capire qualcosa in più nella confusione Planetaria provocata dell’irresponsabile presidente Usa, e in attesa di analisi credibili di economisti seri, ci limitiamo alla cronaca dei dati di fatto che occorrerà mettere assieme per cercare di capire l’insieme di ciò che sta accadendo. Perché nessuno, primo quel matti che gli americani hanno mandato alla Casa Bianca’, ha certezze sul prossimo futuro. Superando i comizi insensati del folle già citato.

Il suicidio del dollaro

Dopo l’annuncio dei dazi contro il mondo, il biglietto verde ha perso nei confronti di quasi tutte le principali valute. In particolare, è sceso verso i minimi di sei mesi sia contro lo yen giapponese che contro l’euro, che ora vale 1,10 dollari. Anche lo yuan cinese ha invertito la tendenza, recuperando nei confronti della divisa americana. Una crisi di fiducia che spiega anche i nuovi record dell’oro, bene rifugio per eccellenza, il cui valore è salito fino 3.167 dollari l’oncia (+8% rispetto a marzo). Non proprio un terremoto, ma quasi, avverte Luigi Pandolfi sul manifesto. Quanto basta, per far dire al capo della Fed, Jerome Powell, che «l’impatto economico dei dazi sarà più ampio del previsto».

Svalutazione pilotata? E se scappa di mano?

Una moneta debole aiuta le esportazioni. In teoria. Ma una politica di controdazi da parte dei partner commerciali può neutralizzare gli effetti della svalutazione del dollaro (con inattesa rapidità, la Cina ieri ha annunciato dazi del 34% su tutti i prodotti americani). Senza contare che, pure in assenza di controdazi, le importazioni diventerebbero più care con un dollaro indebolito, alimentando l’inflazione (altro monito di Powell). I mercati questo l’hanno già subodorato, come dimostra il crollo dei titoli del comparto hi tech, quello che ha scommesso di più sulla rielezione di The Donald.

Dollaro forte o dollaro debole?

Il problema è che Trump ed i suoi consiglieri, a cominciare dal capo del Council of Economics Advisers Stephan Miran, vorrebbero un dollaro debole per esportare, ma anche un dollaro forte per continuare a drenare investimenti verso i propri titoli del Tesoro. «La botte piena e la moglie ubriaca, insomma. Non dimentichiamo che solo grazie al primato del dollaro gli States hanno potuto vivere negli ultimi cinquant’anni al di sopra delle proprie possibilità, senza tante preoccupazioni per i loro colossali disavanzi». Per questo i nuovi strateghi economici della Casa Bianca hanno legato la politica dei dazi al rifinanziamento del debito. Usare la leva tariffaria per indurre i propri partner commerciali a sottoscrive bond a lunghissima scadenza, fino a 100 anni. «Siamo disponibili a ridurre i dazi se ci offrono qualcosa di fenomenale», ha detto ieri il mercante.

Se Cina e Giappone non comprano più titoli Usa?

Quello che sta succedendo sui mercati, alimenta molti dubbi sulla strategia della Casa Bianca. C’è il rischio che i paesi colpiti dai dazi riducano gli acquisti di titoli del Tesoro, anziché sottostare al ricatto di Trump. Sotto osservazione ci sono soprattutto Cina e Giappone, i maggiori detentori esteri di debito sovrano statunitense, che già da qualche anno stanno allentando la loro partecipazione in T-Bond. Il non acquisto dei titoli di Stato Usa può diventare una delle principali armi di ritorsione contro i dazi, insieme all’abbandono del biglietto verde negli scambi internazionali (paradosso: il sogno dei Brics realizzato da Trump).

Debito pubblico Usa da 34trilioni di dollari

“Il debito pubblico degli Stati Uniti ha superato i 34 trilioni di dollari. «Un gigantesco mostro da sfamare in interessi». Una perdita di attrattività dei ‘Treasury’ costringerebbe il governo federale ad offrire tassi di interesse più alti, con la consegua di una crescita ulteriore dei costi di rifinanziamento (già oggi gli Usa pagano 1000 miliardi di dollari all’anno di interessi). In prospettiva, si potrebbe avere anche una fuga di capitali, o una maggiore diversificazione delle riserve valutarie da parte delle banche centrali straniere, qualora la svalutazione venisse percepita come il sintomo di una instabilità economica grave.”

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Articolo di Ennio Remondino dalla redazione di

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7 Aprile 2025