DA REDAZIONE
Dalla Redazione di ARTICOLO VENTUNO –
Il processo a Gilberto Cavallini non si può derubricare a “mero esercizio storicistico”. Questo è uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza con cui i giudici della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione hanno reso definitiva, lo scorso 15 gennaio, la condanna all’ergastolo dell’ex Nar per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna. Per quell’attentato erano già stati condannati in via definitiva come esecutori materiali gli ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, e sempre per concorso nella strage è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado l’ex esponente di Avanguardia nazionale Paolo Bellini. Cavallini, condannato all’ergastolo in primo grado il 9 gennaio 2020 dalla Corte d’Assise di Bologna e in appello il 27 settembre 2023 dalla Corte d’Assise d’appello bolognese, è stato ritenuto colpevole di strage politica. All’imputato veniva contestato di aver “messo a disposizione un alloggio protetto per Ciavardini, Mambro e Fioravanti prima dell’esecuzione della strage”, di aver “messo a disposizione l’attrezzatura per fabbricare una patente falsa consegnata da Ciavardini a Fioravanti” e di aver fornito “l’auto necessaria per lo spostamento da Villorba di Treviso alla stazione di Bologna, e ritorno”.
Entrando nel dettaglio, i giudici della Cassazione ripercorrono i motivi di ricorso presentati dai difensori di Cavallini rigettandoli come infondati o- nel caso della contestazione di una presunta “mancata assunzione di prova decisiva” in relazione alle ipotesi alternative come la cosiddetta ‘pista palestinese’- inammissibili per genericità. Sul punto, nella sentenza si legge che “la doglianza in punto di omesso approfondimento della pista palestinese… non si confronta né con l’assenza di segreti opposti alla autorità giudiziaria in questo giudizio, né con il fatto che da tutta la documentazione esaminata in sede di merito è emersa la assoluta inconsistenza di una ipotesi di accordo (il cosiddetto ‘lodo Moro’) nei termini ipotizzati dalla difesa del ricorrente (sorta di autorizzazione al transito di armamenti sul territorio italiano), trattandosi- di contro- di un sostegno politico alle aspirazioni di riconoscimento internazionale del Fronte di Liberazione della Palestina e non di altro (in cambio di non esecuzione di attentati sul territorio italiano)”.
Anche “l’argomento della presenza di Thomas Kram a Bologna il 2 agosto”, proseguono i giudici della Cassazione, “è stato ampiamente esaminato nella decisione impugnata, con argomenti pienamente logici, posto che Kram era stato identificato al valico di frontiera il giorno antecedente e aveva utilizzato, per il pernottamento a Bologna, il proprio documento di identità originale, aspetto che esclude il suo coinvolgimento operativo in un evento delittuoso di simile portata”. Nella sentenza si esaminano poi “le razionali argomentazioni esposte nella decisione impugnata, non sindacabili nella presente sede di legittimità”, premettendo “alcune considerazioni di metodo rese necessarie dalla ‘natura’ del processo, essenzialmente basato su una ricostruzione di tipo indiziario di alcuni aspetti di particolare rilievo”. E’ infatti “frutto di ragionamento indiziario tanto la presenza ‘attiva’ di Fioravanti e Mambro a Bologna la mattina del 2 agosto, quanto l’aspetto del ‘consapevole’ apporto di Cavallini all’impresa criminale“. Sul punto, per la Suprema Corte “le due decisioni di merito realizzano una logica sintesi di tutte le principali evidenze”. La dimensione “primaria” del giudizio sul fatto, si legge, “è quella che ricollega Valerio Fioravanti e Francesca Mambro alla fase esecutiva della strage”, in quanto “da tale presenza deriva in via logica, ma con certezza, la falsità delle dichiarazioni rese da Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini su quanto avvenuto la mattina del 2 agosto 1980 (la comune gita a Padova)”. E dato il “legame indissolubile tra questi quattro soggetti”, per i giudici “se Fioravanti e Mambro erano a Bologna la mattina del 2 agosto 1980”, ne consegue che “la versione fornita nel corso del tempo da costoro, ma anche da Cavallini, non è soltanto contraddittoria o non dimostrata, ma è falsa”.
La difesa
Sul mancato accesso all’ultima parte delle ricerche comparative sul Dna che si era attribuito a Maria Fresu, una delle vittime della strage del 2 agosto 1980 “e che non è risultato tale, ritengo che, piuttosto di risolvere il problema mediante un ragionamento deduttivo, si poteva e si doveva ricorrere alla scienza, ora che le tecniche sul Dna sono evolute e che tanti processi si risolvono soltanto in base ad esse. Vuol dire che continueremo da soli la nostra ricerca della verità”. Lo dice l’avvocato Gabriele Bordoni, difensore di Gilberto Cavallini, commentando le motivazioni della Cassazione. “E’ singolare – aggiunge – che la Corte affermi che l’alibi fallito circa la trasferta di Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini a Padova sia ‘il punto di maggiore fragilità della tesi difensiva circa la assenza di consapevolezza in capo al Cavallini del proposito stragista coltivato da Fioravanti e Mambro’. I quattro erano sodali nei Nar, quindi offrire un alibi agli altri tre – specie sapendoli innocenti di quanto venivano accusati, ma sarebbe lo stesso anche il contrario – è tipico gesto di favoreggiamento postumo e non di partecipazione al reato”. In ultimo, “l’incompatibilità tra l’accertamento contenuto nel giudizio su Cavallini ed i contenuti della decisione di secondo grado emessa nel giudizio a carico di Paolo Bellini viene tacciata di irrilevanza, posto che nel capo di imputazione del processo Bellini proprio Cavallini è citato come concorrente nel reato, al pari di Fioravanti, Mambro, Ciavardini e altri soggetti. Peccato che nel processo a carico di Cavallini – ma anche in quelli a carico di Mambro, Fioravanti e Ciavardini – del concorso di Bellini e di altri non ne aveva mai parlato nessuno, né nei capi di imputazione e neppure nelle diverse sentenze, quando quell’aspetto – ed è perfino banale rimarcarlo – sarebbe stato di rilevanza pressoché determinante rispetto alla ricostruzione dei fatti”. Sul punto, quindi, “Cavallini non si è potuto mai difendere. Credo che di questi aspetti se ne riparlerà a Strasburgo ed, un domani, in sede di revisione”, conclude l’avvocato lasciando intendere un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le parti civili
“Con la motivazione della sentenza della Suprema Corte di Cassazione nel processo in cui il terrorista neofascista dei Nar Gilberto Cavallini è stato condannato all’ergastolo per la strage del 2 agosto 1980, si scrive una pagina fondamentale di giustizia”. Lo scrivono i legali di parte civile Andrea Speranzoni, Lisa Baravelli, Alessandro Forti e Alessia Merluzzi, che esprimono inoltre “soddisfazione per questo ulteriore e irrevocabile passo verso la piena verità e la giustizia per le vittime della strage e per tutta la collettività”. I legali rilevano inoltre che “la Corte, elencando i delitti attribuibili ai Nar, menziona anche l’omicidio di Piersanti Mattarella avvenuto a Palermo il 6 gennaio 1980, valorizzando in tal modo tutte quelle parti delle motivazioni di merito che hanno riletto questo gravissimo delitto politico”. Per gli avvocati di parte civile, infine, “la Suprema Corte ha confermato la responsabilità del Cavallini, del gruppo terroristico Nar e del neofascismo italiano nella commissione del più atroce e grave delitto commesso nell’Italia repubblicana. Una strage politica che, oltre a sacrificare 85 vite umane, voleva colpire mortalmente la democrazia ed il suo sviluppo”.
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Articolo della Redazione di
14 Aprile 2025