DA REDAZIONE
L’EDITORIALE di Raffaella Malito dal Giornale LA NOTIZIA –
Il leader FI Tajani preme perché Meloni tratti le posizioni dell’Europa. Il leghista Salvini insiste per un approccio nazionale

È iniziato il conto alla rovescia per la missione giovedì a Washington di Giorgia Meloni. La premier italiana si recherà negli Stati Uniti per parlare con Donald Trump. Ma a nome di chi? Dell’Italia? Dell’Europa? Di sé stessa? Non è chiaro. Ma una cosa è certa: Meloni ha deciso di giocare su due tavoli, nella speranza di incassare dividendi politici sia da Bruxelles che da Washington.
Un’operazione che rischia di ritorcersi contro, perché l’equidistanza tra interessi divergenti si paga sempre, soprattutto quando viene percepita come opportunismo.
Meloni ha tentato di accreditarsi come figura “affidabile” per le cancellerie europee, dopo un passato euroscettico di slogan e comizi. Si mostra rassicurante con Ursula von der Leyen, promette di essere il volto della stabilità italiana, ma al tempo stesso strizza l’occhio ai sovranisti d’Europa e fa l’amica di Trump.
Bruxelles ha avvisato: no fughe in avanti
La Commissione europea ha già lanciato segnali chiari: l’Unione parla con una voce sola e non accetta iniziative solitarie mascherate da patriottismo. Uguali segnali di irritazione per la missione meloniana sono arrivati dalla Francia.
Infatti se è pur vero che la presidente della Commissione europea e la premier italiana “sono in contatto regolarmente. La presidente è in costante contatto con tutti i leader” degli Stati membri, dice la portavoce della Commissione Ue a proposito della missione italiana, e che “come ha affermato la stessa presidente in alcune interviste ogni contatto con gli Stati Uniti è benvenuto”, naturalmente bisogna ricordare, ha avvertito Arianna Podestà, “che la competenza per la negoziazione degli accordi commerciali spetta all’Ue” e non ai suoi Stati membri.
“Questo è sancito nei nostri Trattati, quindi ovviamente è di nostra esclusiva competenza”. Questo avvertimento riflette la volontà di evitare fughe in avanti da parte di Meloni.
Meloni strattonata a destra e a sinistra dai suoi alleati
All’interno del governo italiano, le posizioni divergono e la situazione è ugualmente incandescente. Il vicepremier e ministro degli Esteri di Forza Italia, Antonio Tajani, ha detto che Meloni non andrà a trattare solo per l’Italia, ma andrà a “sostenere le posizioni europee”.
Non così l’altro vicepremier. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha affermato che Meloni dovrebbe portare a Trump “la linea del buon senso, non quella dei bazooka di Parigi e Bruxelles”, confermando la preferenza per un approccio nazionale che non europeo.
Meloni porta in dono a Trump l’aumento delle spese militari
Uno dei nodi più scottanti della visita è l’annuncio – dato ormai per certo – che l’Italia si impegnerà ad aumentare le spese militari al 2% del Pil. Una richiesta storica della Nato, cavalcata da Trump con toni ricattatori.
Meloni ha deciso di obbedire senza battere ciglio. E senza dibattito pubblico. La notizia è stata confermata da Tajani, che ha anticipato: “Presto ci sarà l’annuncio ufficiale della presidente del Consiglio”.
“Il due per cento” di spesa per la Difesa “non è più un punto di arrivo da tempo, ma solo di partenza”, ha confermato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. La Lega ha espresso il proprio assenso, anzi ha detto anche più del 2%, a condizione che vengano incluse anche le spese per il comparto sicurezza.
Ma il Movimento Cinque Stelle smaschera il governo
“A quanto pare il governo – dichiarano i capigruppo M5S delle Commissioni Difesa di Camera e Senato, Marco Pellegrini e Bruno Marton – ha scelto di giocare sporco per nascondere ai cittadini i reali costi di un riarmo, con armi americane, che gli italiani proprio non vogliono. Sui giornali leggiamo dati e affermazioni a dir poco discutibili. Il primo è che il governo quantifica in 8 miliardi l’aumento di spesa militare necessario per arrivare subito al 2 per cento del Pil, ovvero a 44 miliardi l’anno”.
“Delle due l’una: o nascondono – spiegano i pentastellati – che per arrivare a quella cifra dai 33 miliardi di oggi servono almeno 10 miliardi se non di più, oppure nascondono la reale dimensione della spesa miliare attuale che quindi sfiorerebbe i 36 miliardi, ben più di quelli dichiarati. Altrettanto oscuro appare il tentativo del governo di ‘fregare’ la Nato riducendo a 3 miliardi l’impatto economico dell’operazione ‘2% subito’ mettendo nel calderone 5 miliardi di spese già a bilancio per voci che esulano dalle linee guida Nato per il conteggio delle spese militari come le Guardia Costiera, la Guardia di Finanza e i Carabinieri – tutti, non solo quelli dispiegabili in operazioni all’estero”.
I parlamentari 5S citano poi la chicca del ministro Crosetto per preparare il terreno alla missione Usa di Meloni, ovvero il dono a Trump quantificabile in 7 miliardi per l’acquisto di altri venticinque caccia F-35 americani.
“Armiamoci e tagliamo su welfare e istruzione”
Nel frattempo, il governo ha tentato di riformulare il concetto di difesa: non sono solo armi e cannoni, ma anche cybersicurezza, intelligence, gestione delle emergenze. Un tentativo maldestro di rendere digeribile una spesa miliardaria.
Ma il problema resta: perché Meloni regala agli Stati Uniti una cambiale in bianco mentre il bilancio statale taglia su welfare e investimenti civili?
E Salvini su questo finge di distinguersi, ma si allinea quando serve.
L’iniziativa di Meloni è l’ennesimo esempio di una politica estera privatizzata, condotta per tornaconto personale e di partito.
La premier non ha mandato europeo per discutere di commercio, dazi o sicurezza con gli Stati Uniti, ma si presenta da portavoce dell’Occidente. Meloni punta a diventare la mediatrice fra Trump e l’Europa. Ma l’azzardo è enorme. Perché nessuno le ha dato quel ruolo. E se l’Italia verrà percepita come troppo accondiscendente verso Washington, la sua credibilità europea – già fragile – potrebbe crollare.
L’opposizione l’aspetta al varco. Tra Trump e Meloni “auspico un compromesso onorevole”, avvisa il leader M5S, Giuseppe Conte. Meloni ha un piede a Bruxelles e uno a Washington, ma rischia di cadere in mezzo. E a pagare il prezzo saranno, come sempre, gli italiani.
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