DI ENNIO REMONDINO
Forse adesso possiamo tentare di ragionare senza accusarci reciprocamente di essere ‘filo qualcuno’. Dati di fatto quasi inoppugnabili: l’aggressione militare russa largamente favorita da estremismi Nato e interni ucraini ‘made in Usa’. Il governo Zelensky che dalla pace invocata poi rincorre la vittoria propagandandola per il mondo tra una folla di tifosi interessati che poi si scoprono avari, mentre in casa ucraina -dopo tre anni di incredibili sacrifici-, quasi tutto precipita.
Trattativa presto o rischio di resa costretta
La tregua di Pasqua annunciata a sorpresa di Putin, e Zelensky lo smentisce a colpi di Vangelo, e dalla sofferenza di Cristo, invoca la prossima resurrezione anche dell’Ucraina. Ma, in attesa del miracolo, pesano le opposte strumentalità, sia da Mosca che vuole arrivare alla sua pace con il sospetto sostegno Usa, e da Kiev che insiste in inconsistenti richiami una vittoria sempre più bugiarda, segnata dal prevalere di interessi politici di un gruppo potere in crisi. Mentre altre migliaia di soldati al fronte muoiono inutilmente.
La cronaca occidentale sbilenca
Cronaca dai contrapposti comandi politico militari resa pubblica senza mediazione giornalistica possibile. Molto da Kiev, poco -quasi nulla-, da Mosca, sulla stampa italiana. «L’esercito russo, dopo l’inizio della tregua di Pasqua annunciata da Putin, ha lanciato un attacco con droni nella regione di Kherson uccidendo un uomo di 58 anni», riporta Rbc-Ucraina. Una fonte dei servizi operativi russi ha riferito all’agenza di stampa statale Tass che le forze armate ucraine hanno attaccano la città occupata di Donetsk, durante il cessate il fuoco.
Le sole verità “probabili” in casa ucraina
Solo le cifre parlano chiaro: meno di 500 giovani ucraini tra i 18 e i 24 anni hanno firmato un contratto per entrare nelle forze armate del Paese sotto attacco russo, nonostante il Governo abbia offerto premi in denaro fino a 1 milione di Hryvnia, circa 25.00 euro, avverte IsideOver. Nemmeno stipendi e benefit paragonabili a quelli dei soldati di Mosca hanno convinto i giovani ucraini ad arruolarsi. Questo dato, più dei sondaggi, riflette la percezione collettiva del conflitto e del costo umano che sta richiedendo, conclude Paolo Mossetti, da cui prendiamo a piene mani.
Al fronte sempre più giovani?
È almeno da sei mesi che il governo di Kyiv è sotto crescente pressione da parte degli alleati europei affinché estenda la mobilitazione militare ai giovani sotto i 25 anni. Ci avevano già pensato gli uomini dell’amministrazione di Joe Biden a chiedere l’abbassamento dell’età per il reclutamento, insieme a politici ucraini come Roman Kostenko, e dopo la vittoria di Donald Trump anche repubblicani come Lindsey Graham, anche se nella sostanza ostili alla causa ucraina. L’esercito che si assottiglia assieme al consenso politico.
Mobilitazione che non convince
La legge sulla mobilitazione della primavera del 2024 non aveva prodotto i risultati sperati e il numero di nuove reclute è rimasto molto inferiore alle attese, nonostante l’allentamento dei requisiti medici, che ha incluso anche sopravvissuti ad Hiv e tubercolosi. Per evitare la leva forzata dell’ultima vera grande riserva demografica per l’Ucraina, sotto i 25 anni, Zelensky ha lanciato il cosiddetto ‘Contratto Giovani’: remunerazione più allettante, possibilità di lasciare temporaneamente il Paese dopo aver servito al fronte, più tutta una serie di benefici sintetizzati in video su TikTok, con la logica del marketing.
La trappola demografica
Due le ragioni della ritrosia di Zelensky al richiamo alle armi di giovanissimi, secondo il sociologo Volodymyr Ishchenko e il blogger militare Peter Korotaev. La prima, spiegano i due studiosi, riguarda una questione demografica profonda. L’Ucraina, già prima dell’invasione russa del 2022, subiva un calo demografico significativo. L’emigrazione, il declino della natalità e la crisi economica avevano già ridotto la base giovanile del Paese. Mandare al fronte decine di migliaia di ragazzi sotto i 25 anni rischierebbe di compromettere oggi il futuro economico, sociale e produttivo del Paese.
La crisi di legittimità interna
Sacrificare una generazione in una guerra di logoramento può voler dire, condannare l’Ucraina a una fragile ricostruzione postbellica, con meno lavoratori, meno contribuenti, meno famiglie. Ma c’è anche una ragione politica: Zelensky teme l’effetto che una mobilitazione forzata e impopolare avrebbe sull’opinione pubblica. Nonostante il conflitto sia descritto come guerra di sopravvivenza della nazione, il malcontento è in crescita. Il patriottismo che aveva animato i primi mesi dell’invasione ha lasciato il posto a un sentimento diffuso di stanchezza, diffidenza e distacco.
Il divario tra Stato e società
Pavlo Palisa, vicecapo dell’Ufficio della Presidenza, vorrebbe arruolare tutti: «Tutti devono servire, anche le donne». Ma l’idea che la leva obbligatoria diventi uno strumento indiscriminato rischia di allargare il divario tra lo Stato e una società sempre più scettica, impoverita e spaventata. Il contrasto con la Russia è evidente. Mosca, nonostante le sanzioni e le perdite militari, ha visto negli ultimi mesi un’impennata di volontari. Secondo molti analisti, il fattore decisivo non è la propaganda, né la convinzione di combattere una guerra ‘giusta’.
Le aspettative di vittoria
Dove si crede di poter vincere, si combatte. Dove si teme l’inutilità del sacrificio, si diserta. E in questo quadro, l’uso della spesa pubblica per sostenere la guerra e l’economia attraverso il reclutamento, funziona in Russia, ma non in Ucraina. Lì, le promesse economiche non bastano. La guerra, da molti ucraini -realtà scomoda per alcuni-, è percepita come una scelta imposta, più che come un atto di autodifesa collettiva. Non è solo la stanchezza a determinare la riluttanza: è la sfiducia nelle élite, nei fini della guerra e nella capacità dello Stato di proteggere chi combatte.
Il futuro del fronte interno
L’Ucraina si trova sola di fatto davanti a un bivio strategico. Continuare a cedere alle pressioni occidentali, oggi quasi esclusivamente europee, e spingere su una mobilitazione forzata, o cercare nuove formule per mantenere la coesione interna e motivare la popolazione. La prima opzione rischia di indebolire la già fragile legittimità statale; la seconda impone di ripensare le priorità della guerra e della ricostruzione.
“E vale la conclusione di Paolo Mossetti: «Senza consenso reale, nessun esercito potrà resistere all’onda lunga dell’erosione sociale e demografica. E in Ucraina, oggi, il vero fronte più instabile non è quello del Donbas ma quello della fiducia collettiva».”
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Articolo di Ennio Remondino dalla redazione di
21 Aprile 2025