DI ALFREDO FACCHINI
«Il vecchio mondo sta morendo.
Quello nuovo tarda a comparire.
E in questo chiaroscuro nascono i mostri.»
Roma, Clinica Quisisana – notte tra il 26 e il 27 aprile 1937
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La clinica odora di disinfettante e di umido. Antonio Gramsci è disteso, immobile. Gli occhi chiusi, il volto scavato, la pelle sottile come carta. Respira a fatica.
Accanto a lui, Tatiana Schucht veglia in silenzio. Ogni tanto gli bagna le labbra, gli aggiusta il lenzuolo. Un’emorragia silenziosa invade il suo cervello. Alle 4:10 del mattino, Antonio Gramsci smette di respirare.
Il 27 aprile 1937 il fascismo spegne il corpo di Antonio Gramsci.
Non il suo pensiero. La sua voce esce dalla prigionia. Sfida il tempo.
L’8 novembre 1926 il regime lo arresta, calpestando l’immunità parlamentare.
Temono le sue idee. Lo rinchiudono a Regina Coeli. Lo accusano di cospirazione. Di guerra civile. Di odio di classe.
Il 28 maggio 1928, a Roma, lo condannano.
Vent’anni, quattro mesi, cinque giorni. Una sentenza pensata per seppellirlo.
Poco prima, scrive alla madre:
«… vorrei che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione…»
In carcere Gramsci non si arrende.
Scrive. Pensa. Resiste. Trentatré quaderni. Centinaia di lettere. Parole che attraversano le sbarre.
Gramsci resta il saggista italiano più letto nel mondo. Ma più ancora resta il suo esempio: parteggiare, scegliere, rifiutare l’indifferenza.
«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia.»
Nel primo anniversario della morte, Giuseppe Di Vittorio scrive:
«Il fascismo aveva compreso quale grande capo aveva in Antonio Gramsci il popolo italiano, e glielo rapì, assassinandolo gradualmente, freddamente, in oltre dieci anni di lento e sistematico supplizio.»
Ma Gramsci è ancora qui.
Vive dove si sceglie.
Dove si lotta.
Antonio Gramsci è, e resta, intramontabile.
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Alfredo Facchini