DI CLAUDIA SABA
Lei è Saman Abbas.
Una ragazza che voleva crescere, divertirsi, vivere in libertà.
La sua famiglia, però, non era d’accordo.
A Saman, di origini pakistane, era stato imposto di sposare suo cugino in Pakistan.
Lei aveva detto no e denunciato per ben due volte i genitori.
Così la famiglia decide.
Saman deve morire.
La giovane intuisce le loro intenzioni e avverte il fidanzato: “Se non mi senti per più di 48 ore chiama le forze dell’ordine”.
Ma non c’è stato il tempo per fare nulla.
Lo zio Danish, convocato dai suoi, esce e rientra con lo zaino color avorio della nipote.
Si accordano.
“Diremo che è tornata in Pakistan”.
Ma le cose sono andate diversamente.
Il fratello minore di Saman, capisce ciò che ha fatto la sua famiglia e parla.
Cinque persone sono indagate: i genitori, lo zio e due cugini.
Il corpo di Saman non si trova nonostante la polizia lo stia cercando ovunque tra le campagne di Novellara, vicino Reggio.
Alcuni video mostrerebbero gli indagati con secchi e pale, forse per scavare una buca.
Forse è tra quelle zolle che si nasconde il corpo di Saman.
Forse è lì che sono state spezzate le ali di una giovane donna che chiedeva soltanto di essere libera.
Una libertà spazzata via per sempre da padre, madre, cugini.
Perché chi commette un femminicidio, quasi sempre, ha le chiavi di casa.