VIOLENZE SUI CARCERATI, LO STATO NON DEVE ESSERE ASSENTE

DI SEBASTIANO ARDITA

La violenza in carcere è troppo grave per essere oggetto di un giudizio sommario.

La vicenda di Santa Maria Capua Vetere è uno dei fatti più gravi di “deviazione istituzionale” che sia accaduto negli ultimi tempi. Lo è perché la giustizia, i procedimenti, i tribunali, sono stati pensati, fin dai tempi dei romani, per togliere la punizione dalla rabbia brutale di chi vuol farsi giustizia da se. Lo Stato ne è il garante è non deve mai macchiarsi di quel che deve impedire.

E su questo si deve essere intransigenti, con tutto l’amore ed il rispetto che si possa provare per un Corpo, una divisa, il sacrificio onesto e la generosità di tanti che la indossano. Perché dobbiamo pensare ogni luogo, di cura, di pena, di controllo come un luogo in cui potrebbe trovarsi ciascuno di noi, ed impedire che ci si possa trovare abbandonati alla mercé e alla rabbia di chi vi esercita la forza senza regole. Se sappiamo già che in quel luogo “noi tanto non ci finiremo mai”, allora vuol dire che lo stiamo pensando come una discarica sociale, il che è ancora peggio ed ancor più inaccettabile in una democrazia.

Detto questo l’errore più grave che si possa commettere è limitarsi alla semplice condanna di ciò che è accaduto senza guadare a cosa c’è dietro. A quali siano le cause che hanno prodotto una così grave deviazione istituzionale. A quanta assenza di Stato, di regole, di controllo, di principi costituzionali possa esservi come causa di un disastro così clamoroso. A quale livello di inciviltà di anarchia e di incomunicabilità siano giunte nel corso degli anni le carceri italiane, a dispetto dei principi declamati. A quale senso di abbandono e di assenza di controllo si deve essere giunti, da parte di chi ha violato così gravemente la legge, fino alla convinzione che tutti potessero fare tutto.

Lo dobbiamo fare, senza concedere sconti a chi ha sbagliato, perché domattina le carceri dovranno svegliarsi con gli agenti che monteranno all’alba sul muro di cinta, ed altri che dovranno accompagnare i parenti dei detenuti all’interno, ed altri ancora che metteranno a rischio la propria vita per salvare quella di un recluso o per la sicurezza di tutti.

E guai se ciò non accadesse. E guai se queste decine di migliaia di uomini avvertissero su di se solo una condanna collettiva, pronunciata dai media, senza sentirsi dire che c’è ancora bisogno di tutti loro e dei loro sacrifici per far funzionare le nostre carceri dentro il perimetro di regole e di civiltà che la Costituzione ci chiede.