DUE UOMINI, DUE DESTINI

DI VINCENZO G. PALIOTTI

Tralasciando l’aspetto legale, che pure è discutibile parlando di legittima difesa, bisognerebbe incentrare la questione su alcuni altri aspetti che sono trascurati dai più, un po’ l’emozione che ha creato fatto, un po’ per il nostro costume di farne una questione a livello di “tifo da stadio”. E quindi, andiamo all’aspetto pratico ed umano della faccenda.

Erano due persone che stavano in un posto che non competeva a nessuno dei due.

Alla vittima che non doveva stare lì al bar a “disturbare”, parole dello sparatore, la clientela. Comportamento che, sempre da quanto sentito sul posto, era dovuto al suo stato di labilità mentale. Si ubriacava spesso e spesso si recava nei ritrovi della città per “disturbare” i clienti ma bastava mandarlo via e tutto finiva lì.

Costui era stato espulso un paio di volte, almeno così dice chi parla dei suoi precedenti, ma stranamente era ancora a Voghera. E qui nasce il primo punto da chiarire. Tutti questi rimpatri di cui parla la lega vantandosene, dove sono? Sarebbe bastato portarlo all’aeroporto, alla stazione dove si doveva, accompagnato da un poliziotto fino a destinazione consegnandolo poi alle istituzioni del suo paese, anche se due volte.

E ancora, dove erano coloro che si dovevano prendere cura di costui, riconosciuto mentalmente labile? Chi si è preso cura di una persona con i problemi che aveva Youns El Boussetai, conosciuto sul posto come “Musta”? Ecco pare giusto dare un’identità alla vittima identificata invece, e con intenzione: clandestino, marocchino, straniero mai con le sue generalità.

A chi ha sparato, che se veramente avesse voluto rendere un giusto servizio alla comunità avrebbe chiamato i CC e/o la Polizia di Stato e/o i Vigili Urbani, le forze dell’ordine insomma preposte a risolvere il “problema”, e la faccenda si sarebbe potuta appianare, come pare sia successo altre volte, rendendo quindi superflua tutta la “sceneggiata” messa su dall’assessore e finita in tragedia.

E, ancora: come ha avuto il porto d’armi costui, visto che questo è concesso solo a categorie speciali di cittadini.

E perché la pistola era pronta all’uso con il colpo in canna?

Queste sono le risposte che la lega e Salvini devono dare. Perché se nessuno può condannare l’assessore altrettanto non può fare chi lo difende parlando di “legittima difesa”. La questione è nelle mani dei magistrati che indagheranno e tirando poi le somme sul da farsi.

Facile parlare di legittima difesa, qui è morto un uomo che tutto era tranne che un aggressore, questo detto da un rappresentante de “La buona destra” di Voghera che parla anche degli atteggiamenti dell’assessore alla sicurezza come tipici dei film western di John Ford.

E comunque se, per chi ha preso le difese dell’assessore, i precedenti della vittima contano come un’attenuante al gesto dell’assessore, contano allo stesso modo quelli dell’assessore che parlano di un poliziotto violento con pose da duro, più propenso alla repressione che alla prevenzione e che per questo veniva chiamato “sceriffo”, appellativo di cui l’assessore gode tutt’oggi. Assessore che non è ben visto proprio per i suoi atteggiamenti, così come risulta dalle tante testimonianze raccolte sul posto e pubblicate oggi dai quotidiani.

Un gesto umano, che arriva da una cittadina tranquilla, laboriosa e civile come Voghera, l’ha compiuto una signora che ha lasciato dei fiori sul posto dove è accaduto il fatto con una scritta: “Ti sia lieve almeno la terra Musta, perché la vita per te non è stata lieve né lieta”, la stessa, che ha voluto restare anonima, ha dichiarato poi: “Non mi sento tranquilla sapendo che l’assessore alla sicurezza gira con una pistola in tasca. Il primo atto che ha compiuto questo assessore è stato dare il DASPO a due donne, due mendicanti che non arrecavano nessun danno ”.