MARIA CONCETTA CACCIOLA: “COMUNQUE VADA NE SARA’ VALSA LA PENA”

DI CRISTINA PEROZZI

Oggi si ricorda Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia, lasciata sola e morta ammazzata.

Maria Concetta proviene da una famiglia di mafia. Suo padre è cognato di Gregorio Bellocco, boss di Rosarno, nel cuore della piana di Gioia Tauro, terra oppressa dalla presenza criminale. La madre ed il fratello Giuseppe, vivono immersi nella filosofia di vita di chi nasce, cresce e crede in quel contesto criminale dove la ‘ndrangheta, a differenza di altre mafie, considera i legami di sangue legami sacri che non vanno spezzati per nessuna ragione al mondo ed il ribellarsi a queste regole, addirittura collaborando con la giustizia, costituisce un tradimento inaccettabile.

La decisione di cambiare totalmente vita arrivò quando al figlio più grande rubarono il motorino. Maria Concetta andò dai Carabinieri per denunciare il furto, e divenne collaboratrice di giustizia. Lei, con questa decisione sapeva bene di mettersi contro tutta la famiglia: madre, padre, fratello, marito e, soprattutto sapeva bene quali rischi avrebbe corso.

Da Genova a Bolzano, andò a vivere in vari posti sotto protezione delle forze dell’ordine secondo la legge sui collaboratori. Ma i figli, i SUOI figli, vengono lasciati a vivere in Calabria con la mamma di lei, e la nostalgia fu così forte che Maria Concetta un giorno chiamò a casa per sentirli.

Alle intimidazioni ricevute dai suoi familiari, alla mancanza dei suoi bambini, Maria Concetta non ebbe la forza di resistere. Rivelò dove si trovava e il padre andò a prenderla per riportarla a Rosarno.

Quando capì che era in pericolo di vita, avvertì le forze dell’ordine e in quelle ore in cui manifestava tutta la sua fragilità e la sua paura di lasciare di nuovo i suoi figli, nessuno decise di proteggerla.

La sua volontà prima di tutto, dicevano. Lei è libera, “che non si dica che lei sia stata indotta a parlare”.

La donna viene ritrovata in fin di vita.

Un litro di acido muriatico ingoiato.

Un suicidio, per la sua famiglia, che quando ancora i funerali non sono stati celebrati, deposita un esposto in cui la giovane donna è descritta come una depressa, una malata di mente. Ma Maria Concetta non era pazza e soprattutto, non si era uccisa. Il suo fu omicidio premeditato così come la scelta dell’acido a bruciarle la bocca perché aveva parlato troppo.

Qualche anno dopo tutti i suoi familiari finiscono arrestati e condannati col rito abbreviato.

Finiscono in galera anche Vittorio Pisani, divenuto poi collaboratore di giustizia, e Gregorio Cacciola, i due avvocati che avevano costretto la donna alla prima ritrattazione.

Ad una sua amica al telefono, tutte le sue conversazioni venivano intercettate, Maria Concetta dice: “So che succede. Io torno, mi fanno ritrattare e poi mi ammazzano, ma io ho paura a tornare, però devo farlo per i miei figli”.

Oggi 20 agosto si ricorda l’omicidio di Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia lasciata da sola dalle istituzioni come tante donne, vittime di un sistema disumano che non le protegge abbastanza.