Di PATRIZIA CADAU
Ieri Angelica Salis è morta in un lago di sangue, dopo sette coltellate. Ad ucciderla il marito.
Qualche sera fa, la donna era riuscita a scappare scalza di casa e a chiedere aiuto in un bar: ma tutti avevano minimizzato la faccenda.
Oggi, i commenti a caldo della sorella della vittima:
“Lui l’amava, non era violento, ha perso la ragione, le avrebbe regalato anche la luna, non è un femminicidio”.
Non vi stupite.
Sono cose frequenti: una donna vittima di maltrattamenti non trova mai solidarietà neppure in famiglia. Anzi, le famiglie sono luoghi ostili, in cui ciascuno ha paura del giudizio altrui e ha vergogna per quanto accade e contestualmente, tende a giustificare il violento, in questo caso un assassino, e ad attribuire colpe e responsabilità alla vittima.
La delegittimazione della vittima è così collaudata e potente, che ho letto pure che lei fosse depressa, quasi a giustificare il femminicidio: ma anche fosse, in una storia di violenza la depressione è una conseguenza della violenza non una causa.
E poi il paradosso: lui uccide ma quella con presunti disturbi mentali è lei.
E davvero per oggi non ci sono più parole.
Angelica, che tu possa riposare in pace.