DI LEONARDO CECCHI
Quando leggo che alcuni parlamentari votano nomi che dovrebbero far ridere, penso ad una cosa. Faccio un pensiero populista, diciamo.
Penso al padre o alla madre di famiglia che fanno quei lavori da sfruttati, a 5-600 euro al mese, per non finire in mezzo a una strada, e che le matte risate con queste cose non possono farsele, perché sennò li buttano fuori a pedate. A quelle persone che davanti al “datore di lavoro”, si scrive così, si legge sciacallo, non fiatano neppure, perché da quegli spicci dipende il loro futuro.
Son 2 milioni le famiglie in queste condizioni, più o meno. Fatte di cassiere che “Raffaello Mascetti” non possono chiamarlo al banco del supermercato, sennò arriva il direttore e le accompagna alla porta; fatte di rider senza contratto, spesso, che lo scherzo del citofono non possono farlo, sennò li buttano fuori a calci.
Un parlamentare però può scrivere buffonate mentre si vota per il Quirinale. Mentre si vota sul destino del Paese fatto dal rider, dalla cassiera, dall’operaio.
Tanto se il lavoro non lo perde con il 70/80% di assenze, figurarsi per un foglietto che fa ridere tutti.
Un pensiero populista? Pesante?
Forse sì, ma forse non me ne frega niente che qualcuno lo pensi.