DI EMILIANO RUBBI
È la reazione di uno dei parenti degli assassini di Willy Monteiro Duarte.
Già: che avranno mai fatto, in fin dei conti?
Era solo un nero, mica un essere umano.
Ma io non credo che quello di Colleferro sia stato un omicidio con movente razziale.
Credo che il fatto che Willy fosse scuro di pelle non c’entri nulla con la sua morte: se fosse stato bianco e italiano lo avrebbero ammazzato allo stesso modo, senza problemi.
Credo, però, che il fascismo, inteso come sistema di valori, c’entri eccome.
Perché il brodo culturale in cui nasce e prospera il seme di quell’odio è prettamente fascista.
La cultura della prevaricazione, della violenza, l’esaltazione della forza e della ferocia, il disprezzo per la diversità.
I “modelli” a cui i quattro mentecatti che lo hanno ucciso si rifacevano, sono la perfetta fotografia del fascismo del 2020.
E non c’entra niente neanche il fatto che uno dei quattro fosse un fan di Salvini: il leader leghista ha 4 milioni di follower solo su Facebook, per fortuna non vanno tutti ad ammazzare di botte la gente.
È il contesto sociale che va analizzato.
Sono i modelli culturali, i riferimenti di una parte di popolazione sempre più incattivita e profondamente frustrata a spiegare il perché di quello che è successo.
Non è stato un omicidio razzista.
È stato un omicidio fascista.
Willy, nelle foto, aveva gli occhi sorridenti che vorrei che avesse mio figlio quando avrà la sua età.
Odio quello che la subcultura dell’estrema destra sta facendo al nostro paese.
Odio quello che stiamo diventando.
Vi odio di un odio profondo che non riesco più neanche a spiegare a parole.