DI VIRGINIA MURRU
Sembrerebbe un dato in controtendenza, di fronte all’andamento virtuoso dell’economia, che ha raggiunto traguardi e performance davvero imprevedibili, se si considera la congiuntura sfavorevole dovuta a due anni di emergenza sanitaria e allo stato di recessione che si è innescato a livello globale, e invece lo spread è tornato ad essere più o meno un tormentone.
L’Italia, con la competenza di un premier d’eccezione, è riuscita a svincolarsi da una crisi che ha riguardato indistintamente tutti gli stati, non solo in Europa. A partire dal 2021 è stato un percorso basato su interventi forti in ogni settore dell’economia, due anni tutt’altro che semplici, quasi una corsa ad ostacoli per andare oltre l’impatto della pandemia, oltre l’assedio di un virus che messo a ferro e fuoco le risorse di un intero pianeta.
L’Europa è stata devastata nel versante sanitario, e la più seria conseguenza è stata per ovvie ragioni la sofferenza sul piano umano, ma la lotta contro il Covid ha scatenato anche una crisi economica quasi senza precedenti in tutto il continente, e l’Eurozona non ha fatto eccezione.
E’ proprio in questo clima di depressione economica che l’Italia ha trovato la sua riscossa, portando avanti la crescita e distinguendosi anche fra le più forti economie dell’Unione, fino a concludere il 2021 con un Pil a +6,5%.
C’è stato un risveglio del tessuto produttivo in tutti i settori chiave dell’economia del Paese, un aumento considerevole del tasso di occupazione, un sistema bancario che ha retto allo sconquasso causato dall’impatto della pandemia, e soprattutto non si è arresa la produzione nell’industria, il terziario ha sofferto, ma con il sostegno degli incentivi messi in campo dall’esecutivo le difficoltà sono state meno incisive.
La crescita economica continua a ritmo quasi sostenuto anche nell’anno in corso, sia pure con minore impulso rispetto a quella del 2021. Il debito pubblico è calato nel rapporto col Pil fino al 150% (nel 2020 era al 156%), un bel salto in termini percentuali. Certo necessita di ulteriori interventi, affinché il rapporto debito/Pil torni ad essere più accettabile. Ma è già un dato macro in netto miglioramento.
Tanti dati macroeconomici da oltre un anno a questa parte sono diventati positivi, in armonia con la crescita, e il piano di riforme strutturali dovrebbero portare nel 2022 ad ulteriori passi avanti.
I conti non tornano quando ogni mattina, nel dare uno sguardo ai quotidiani, l’occhio inevitabilmente si fissa su un numeretto quasi sempre in rosso, lo spread, un’ossessione per anni, quasi l’ago impazzita di una bussola che ha riflesso l’affanno di un’economia che stentava a ripartire con decisione.
La virata ora è decisiva, e ha portato i conti pubblici fuori da un tunnel che non consentiva slancio negli investimenti. Gli analisti e le agenzie di rating sono concordi nell’affermare che in Italia si è verificato qualcosa di eccezionale, che è andato oltre le previsioni.
Come mai allora quel numeretto in rosso continua a lampeggiare, quasi a ricordarci che c’è qualcosa che non gira nel verso giusto?
Secondo gli esperti, il fatto è che i rendimenti esatti dal mercato per i nostri Btp sono praticamente raddoppiati nel volgere di soli due mesi. E lo spread non poteva restare indifferente, è salito molto più di quanto ci si aspettasse. Certo non siamo ad alta quota, ha visto di peggio il Paese tra il 2011/2013, siamo sotto i 200 punti base, viaggiamo tra i 160, e non si può nemmeno ignorare che le tensioni internazionali, l’instabilità geopolitica, non portano serenità nei mercati.
Verrà meno anche il sostegno della Bce, la quale, proprio lo scorso dicembre, ha confermato che il programma pandemico (PEPP – Pandemic Emergency Purchase Programme), sarebbe terminato il prossimo marzo, e che comunque gli acquisti netti mensili sarebbero continuati, ma ad un ritmo inferiore rispetto al trimestre precedente.
Il Consiglio direttivo ha anche precisato che reinvestirà il capitale rimborsato sui titoli in scadenza, nell’ambito del programma PEPP, almeno fino al 2024, la riduzione del portafoglio sarà comunque gestita in armonia con l’orientamento della politica monetaria.
In ogni caso, la Bce continua a rassicurare sul sostegno all’economia dell’area euro. Gli acquisti del ‘QE standard’ verranno potenziati nei due trimestri centrali del 2022, e proseguiranno quindi a tempo indeterminato con 20 mld al mese. Negli intendimenti della Banca Centrale Europea tali misure dovrebbero aumentare di 400-500 mld i titoli detenuti dall’Eurosistema, garantendo nel contempo una copertura delle nuove emissioni di titoli della zona euro.
Resta tuttavia che la Bce vuole abbassare il tenore degli interventi in considerazione del fatto che la pandemia in termini economici starebbe per chiudere un ciclo: la ripresa economica è evidente in tutti gli Stati dell’Unione. Certo che la garanzia negli acquisti di asset da parte della Bce ha fino ad ora foraggiato e sostenuto il nostro Tesoro. Ora potrebbero cambiare le prospettive per la nostra finanza, per esempio potrebbero salire di nuovo i tassi. Del resto la Fed lo sta dimostrando con un aumento doppio rispetto ai ritmi consueti pre-pandemia.
Secondo gli esperti dell’alta finanza mondiale, l’Italia corre i suoi rischi, soprattutto se si considerano le minacce e i venti di guerra che soffiano dall’est. E tuttavia secondo il parere dei grandi esperti, l’Italia rischierebbe meno di quanto si possa immaginare in condizioni d’instabilità di questa portata.
La sostenibilità di un debito pubblico non dipenderebbe dal suo livello, ma dal costo degli interessi che lo stesso comporta. Nel 2021 l’interesse medio sui Btp è stato intorno al 2,4%. Con queste condizioni il peso degli interessi sul Pil sarebbe del 3,4%, considerando che gli stessi interessi non assorbirebbero più del 7,5% delle entrate dello Stato. Non propriamente una situazione favorevole, ma nemmeno un salto nel buio, dato che tanti altri stati europei hanno già affrontato queste evenienze.
Solo gli sviluppi dell’attuale emergenza geopolitica, ed altri fattori economici e finanziari destabilizzanti causati da un’epidemia ancora in corso, potranno decidere se l’altalena relativa allo spread diventerà più solida, insieme ai buoni presupposti di un’economia in crescita.