I SEPOLCRI NEL TEMPO DELLA GUERRA

DI LIDANO GRASSUCCI

E’ tempo di andare a vedere, sì a vedere con gli occhi. Comincia a non far freddo nel giovedì santo, anche se lui per via della luna, è ballerino, non sta fermo un anno. Giovedì santo, i cristiani ricordano oggi un sepolcro, domani piangeranno una morte, dopo tre giorni un risorto.

Non è facile da capire, anzi è un certo perdersi nella difficoltà di sentire una storia dove anche il bene e il male fanno strani vortici e alzano polvere.

Mani con il tempo passato che stringevano mani con il tempo da venire ed iniziava un viaggio. Viaggio in vicoli stretti, stazione di una vita che era la stessa vita ma aveva altari diversi dove conservare un corpo che domani sarà flagellato, offeso, ucciso. Ci sono fiori, già fiori e percorsi. Come un viaggio fino al luogo del santo, della santa, della testimonianza. Intorno si faceva silenzio, un silenzio che diceva che qualcosa di grande stava avvenendo, riavvenendo, rivivendo.

Hanno gli occhi grandi i bimbi quando vogliono vedere, hanno paure grosse della sera che scuriva verso la notte e il giorno dopo la creatura avrebbe ucciso il suo creatore insieme a due ladroni e alla festa della turba che ama il sangue e non sa che il sangue è il suo.

Ora cammino su strade ordinate, ora le strade qui dove sono sono larghe, le chiese grosse per fedi più piccole di ieri che in chiese piccole c’erano grandi fedi.

Giravo e in cielo c’erano le stelle, dicono che le stelle che vedo ora sono di un allora e tra i tanti allora questa storia di 2022 anni fa, ed io sono qua testimone del fatto per testimonianza.

Domani uccideranno il creatore, ora dove quasi l’Europa finisce hanno ucciso tante creature. Il creatore  verrà ucciso tra le indifferenze, le creature muoiono tra l’indifferenza del sacrificato

“Ma adesso che viene la sera ed il buio
Mi toglie il dolore dagli occhi
E scivola il sole al di là delle dune
A violentare altre notti
Io nel vedere quest’uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l’amore”
Fabrizio De Andrè, il testamento di Tito
Un ladrone che scopre l’amore nella morte del creatore, ci vogliono gli erranti per capire un sacrificio, ci vogliono gli erranti per avere pietà di Dio e pietà dei bimbi uccisi da Erodi di questo tempo.
Mi stringe la mano forte la mano con tanto passato ma ora la mia mano neanche ha tanto futuro e non trovo a chi stringerla la pietà che muore
“Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta”.
Salvatore Quasimodo, Milano 1943
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