EMILIANO RUBBI
Vi confesso una cosa: mentre leggevo quello che è successo a Caivano, non riuscivo a togliermi un pensiero orrendo dalla testa, un pensiero di cui mi vergogno moltissimo: “speriamo che mio figlio, quando crescerà, sia eterosessuale”.
Ovviamente a me non cambierebbe assolutamente nulla se da grande amasse un uomo o una donna, o se sentisse di essere uomo o donna, ma per il mondo che ci circonda, a quanto pare, cambierebbe ancora moltissimo.
E l’ultima cosa che vorrei è che dovesse vivere una vita filtrata dallo stigma sociale, dall’odio immotivato, dalle risatine di scherno delle persone quando si allontana.
L’omosessualità, la bisessualità, la transessualità, per la nostra società sono ancora dei tabù.
E sono gli unici tabù basati non su motivazioni somatiche, etniche, culturali, ma sulla libera scelta delle persone di vivere liberamente la propria vita, la propria sessualità, i propri sentimenti.
Ti odiano perché ami qualcuno, in pratica.
E mi vergogno da morire, ma quando ho letto dell’omicidio di Maria Paola da parte del fratello ho pensato che, se potessi scegliere, vorrei evitare di far vivere anche questa difficoltà a mio figlio.
Vorrei evitargli una esistenza più difficile.
Come vorrei evitargli qualsiasi problema nella vita.
Ma essere omosessuali, bisessuali, transessuali, non è un problema.
È quello che sei.
È come avere gli occhi azzurri o gli occhi marroni, o la pelle bianca o nera.
Solo che nessuno, oggi, ti uccide se hai gli occhi azzurri o marroni, invece se hai troppa melanina per i loro gusti te la rischi, come se ami Ciro.
Allora ho pensato: meno male che mio figlio è bianco, almeno non lo picchieranno per quello.
E non è neanche nato in una famiglia ebrea, per fortuna.
Non è nemmeno una donna.
A questo punto speriamo solo che non sia gay, bisessuale, trans.
O che non decida di diventare musulmano.
Cazzo, non avevo pensato che potrebbe anche scegliere di diventare musulmano.
Lo odierebbero anche per quello, lo guarderebbero male anche per quello, lo discriminerebbero anche per quello.
E se fosse gay e musulmano?
Così, mentre questo turbinio di dubbi su come evitare a mio figlio di incorrere nelle discriminazioni dei nazisti dell’Illinois mi stava attraversando la testa, ho realizzato che l’errore più grande lo stavo facendo io.
Stavo considerando l’essere gay, bisessuale o transessuale una sorta di handicap, un “punto a sfavore”.
Non per me, d’accordo, ma per la società.
Ma non è chi ama a dover cambiare, è chi odia.
Non sono io a dover sperare che mio figlio ami “chi gli porta meno problemi”, perché sarebbero quelli che lo discriminano ad avere un problema, non lui.
Allora ho pensato che, in realtà, l’unica cosa che spero davvero è che mio figlio non diventi mai un intollerante.
Non diventi mai uno che odia.
Non diventi mai un omofobo, un razzista, un fascista.
Per il resto, spero che ami.
Chi vuole e come vuole.
Spero solo che ami tantissimo.