DI MARIO PIAZZA
Si potrebbe tradurre approssimativamente con la parola “inganno”, spiegando però che si tratta di artifizi per provocare specifiche reazioni in chi si intende ingannare sviandone l’attenzione.
Il sospetto che questa faccenda del grano ucraino sia soltanto un “decoy” acquista sostanza se ci si prende la briga di analizzare le cifre.
Prendiamo i primi 10 produttori di grano al mondo e scopriamo che l’Ucraina sta proprio al decimo posto con i suoi 25 milioni di tonnellate su un totale di 510, pari a meno del 5%. Una percentuale comunque importante che però perde significato se pensiamo che le produzioni subiscono ogni anno sbalzi ben più consistenti a causa di condizioni climatiche avverse e delle speculazioni del tutto fisiologiche sulle “commodities” ovvero prodotti di scambio internazionale come il petrolio, il caffè, l’oro e appunto il grano.
Chi come me si è fatto rizzare i capelli sulla testa pensando alle carestie nel terzo mondo ha subito fatto una considerazione logica, perché il dato davvero importante non è la produzione ma quanta parte di essa i paesi produttori destinano all’esportazione.
Prendiamo di nuovo i primi dieci al mondo nell’esportazione e scopriamo che l’Ucraina passa dal decimo al sesto posto con 16 milioni di tonnellate su un totale di 160, pari al 10% del totale.
Una percentuale doppia rispetto a prima ma trattandosi di un mercato per sua natura fortemente fluttuante per quantità e prezzi ancora troppo piccola per provocare i disastri che ci vengono prospettati.
Già, i prezzi.
Non sono Putin o Zelensky a stabilire il prezzo del grano che è salito del 5%, quello lo fissa ogni giorno la finanza nelle borse del mondo.
Possiamo magari dire che se la crisi del grano fosse reale e non un decoy la colpa andrebbe suddivisa in parte uguali tra quel delinquente di Putin e quegli altri delinquenti di Wall Street?
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