DI LEONARDO CECCHI
Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: “A che serve studiare? Chi sa rispondere?”.
Qualcuno osò rispostine educate: “a crescer bene”, “a diventare brave persone”.
Niente, scuoteva la testa. Finché disse: “Ad evadere dal carcere”.
Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare”.
“In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”.
Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza.
Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: “le menti deboli chiedono l’uomo forte”.
Mai come oggi attuali le parole di Corrado Augias. Un tempo l’Italia fuggiva dall’analfabetismo, vedeva l’ignoranza come un male, una vergogna. Oggi per tanti è quasi un vanto, un orgoglio.
Risorgere come Italia significa paradossalmente ritornare indietro: a quando l’ignoranza veniva percepita come un carcere da cui evadere.