DI PIERO ORTECA
Usa in recessione tecnica: Pil a -0,9%, peggio delle attese. Biden: «Non è una sorpresa che l’economia stia rallentando mentre la Fed interviene per combattere l’inflazione». In arrivo un massiccio piano di investimenti e incentivi pubblici.
Recessione ‘soft’, quasi pilotata, promette il presidente della Fed, Jerome Powell. Denaro più caro che frena prima l’inflazione ma assieme l’economia del Paese. La globalizzazione non perdona. Crisi economica planetaria. Shock pandemico e troppi ‘super-stimoli’ per la ripresa.
Solo la Banca centrale europea aspetta, quasi giocando a nascondino con verità politiche difficili da svelare e far sopportare.
La globalizzazione non perdona
Ormai anche se qualcuno cerca di cacciare la globalizzazione dalla porta, gli rientra dalla finestra. Spesso rovinosamente. Qualche giorno fa abbiamo parlato dell’incipiente recessione tedesca, un po’ a sorpresa, perché si tratta pur sempre della “locomotiva” d’Europa. Oggi parliamo, invece, di un’altra locomotiva economica, la più potente del mondo, che comincia a sfiatare lungo gli irti binari della crisi: gli Stati Uniti. Che da ieri sono in ‘recessione tecnica’. Notizia ferale, perché anche chi non ha studiato ad Harvard capisce che, se sono in crisi gli americani, tutti gli altri nel mondo possono cominciare a fare gli scongiuri.
Crisi economica planetaria
La situazione per l’economia del pianeta è veramente pesante. E per noi europei, in particolare, si prospettano tempi duri. Le analisi comparative con le “disfunzioni” macroeconomiche statunitensi sono utilissime, perché anticipano fenomeni che stiamo per affrontare anche nel Vecchio continente. Con una differenza sostanziale, però: Oltreoceano hanno parametri di sistema (Pil, occupazione, indebitamento) decisamente migliori dei nostri. Questo consente loro di potersi permettere strategie d’attacco finanziario (sui tassi) più aggressive, tollerandone, entro certi limiti, gli effetti recessivi.
Dalla teoria alla pratica
Spostiamo il ragionamento teorico sul terreno pratico. Con un’inflazione al 9,1% e una bilancia commerciale “rosso sangue”, gli Stati Uniti non avevano grande margini di manovra. La loro Banca centrale, la Federal Reserve, doveva agire sui tassi, alzandoli, per bloccare i prezzi al galoppo. Jerome Powell (il Presidente) e il “board”, però, hanno perso troppo tempo, sperando che il fuocherello si spegnesse da solo. Hanno sottovalutato la potenziale crescita dell’inflazione fino a quando le fiamme non sono diventata un incendio difficile da arginare. A quel punto, la FED ha dovuto fare di corsa ciò che non aveva fatto prima, intervenendo ripetutamente sui tassi.
Inflazione fuori controllo
L’ultimo rialzo, di mercoledì scorso, è stato di ben 75 punti base, con l’ammontare complessivo al 2,50%. E non è finita qui. Perché Powell, anticipando le strategie della FED da qui alla fine dell’anno, ha detto che i tassi saliranno ancora. Di quanto? Si parla di almeno un altro punto. Una mossa che viene letta come il termometro del grado di preoccupazione degli esperti. In sostanza, si sono resi conto che l’inflazione gli è scappata di mano, e che ora bisogna intervenire senza esitazioni. Raffreddando l’economia. Il problema, però, sono i tempi. I dati dimostrano che la recessione è arrivata prima del previsto. Tecnicamente è conclamata, perché il Pil si è ridotto (-0,9%) per il secondo trimestre consecutivo, dopo che nel primo era calato dell’1,6%.
La parola incubo sul Wall Street Journal
Secondo il Wall Street Journal, che ha aperto il giornale a tutta pagina con la notizia della recessione, “il rapporto sul Pil ha offerto alcuni segnali scoraggianti e ha sottolineato le sfide che le imprese, i consumatori, e i responsabili politici statunitensi devono affrontare, tra cui l’inflazione elevata, l’indebolimento della fiducia dei consumatori e la volatilità della catena di approvvigionamento”. Naturalmente, gli analisti discutono sulla complessità della crisi americana, che mostra talune asimmetrie. Una recessione, accompagnata però da un tasso di disoccupazione molto basso (intorno al 3,6%) e una crescita esponenziale dei salari.
Shock pandemico
Secondo diversi economisti, lo shock pandemico, la ripresa successiva post epidemia e la guerra in Ucraina hanno “drogato” molti processi produttivi e distributivi. Alterando il ciclo domanda-offerta per quanto riguarda energia, materie prime e semilavorati. La strategia dei “super-stimoli” ha poi avuto impatti esponenziali (e ibridi) sui mercati, contribuendo ad aumentare in misura abnorme la quantità della massa monetaria e la velocità della sua circolazione.
Troppi super-stimoli
Moody’s Analytics stima che a maggio, negli Stati Uniti, ci fosse ancora un “risparmio in eccesso” di ben 2, 5 trilioni di dollari, in mano alle famiglie americane. Soldi per la maggior parte provenienti dai sei e più trilioni di dollari voluti dall’Amministrazione Biden come “stimolo” per la ripresa post-pandemica. Con questi soldi “facili” i consumatori hanno continuato a spendere anche a fronte di prezzi più alti. Autoalimentando l’inflazione. Quando i prezzi sono saliti troppo, i consumi hanno cominciato a frenare e le aziende, anziché investire in materie prime, hanno saccheggiato i depositi, esaurendo i cicli delle scorte.
L’economia e le aspettative
“E siccome l’economia è fatta di aspettative, immaginatevi quale possa essere la fiducia dei consumatori in un Paese che conosce, contemporaneamente, alta inflazione e recessione. E siccome l’economia è fatta di aspettative: in America, con la FED che corre, sono alla canna del gas. In Europa, con la BCE che dorme, ci manca pure quello. Il gas”.
Di Pietro Orteca
Da:
29 Luglio 2022