DI MARIO PIAZZA
“Cucchiaio d’argento” è la metafora inglese per descrivere chi come Carlo Calenda ha la sventura di nascere in una famiglia dell’alta borghesia e per di più romana, quella che ha sostituito le acciaccate nobiltà rese celebri dal Marchese del Grillo.
Essere nutriti con un cucchiaio d’argento probabilmente da una balia laureata in alimentazione e pedagogia ha certo i suoi vantaggi ma la contropartita è altissima perché si diventa adulti senza aver capito un beato chiazzo della vita vera e per di più innamorandosi di se stessi, o meglio di ciò che ci si illude di essere.
Ne ho conosciuta di gente così, personaggi abituati a vincere tutte le mani un bluff dopo l’altro convincendosi di essere grandi giocatori senza dare alcun peso al fatto che il loro tavolo sia truccato, e poco importa che a truccarlo sia papa Pio VII come nel caso del nobile Onofrio o il “capitano coraggioso” e caro amico di famiglia Luca Cordero di Montezemolo.
A Roma quelli così li chiamiamo “cazzari” ma stiamo bene attenti a non farci sentire perché i cazzari di quel genere sono non solo potenti e istruiti, dispongono pure della micidiale arma della simpatia.