DI BARBARA LEZZI
La buona volontà a trattare fu manifestata dai Carabinieri del ROS con la mancata perquisizione del covo di Totò Riina.
Mi basta questo per sprofondare in un infinito senso di ingiustizia, in un posto in cui non ci sono più punti fermi e confini precisi. Lo so che le sentenze si rispettano ma si possono commentare e le motivazioni di quella sul processo d’appello sulla trattativa Stato-Mafia ti portano a riflettere sulla maturità della nostra democrazia, sulla trasparenza delle catene di comando che tengono le fila delle nostre Istituzioni, inducono a chiederci che senso abbia avuto quel fiume di sangue versato da chi non ha inteso trattare con Cosa Nostra.
L’iniziativa improvvida, come è stata definita dai giudici nelle motivazioni, è la trattativa che è stata cercata da pezzi dello Stato con la Mafia.
Ora io mi chiedo, da cittadina, che da adolescente prima e da giovane donna dopo, ha assistito sgomenta alle morti di carabinieri, poliziotti, magistrati fatti saltare in aria e ridotti in brandelli, trucidati davanti agli impotenti sguardi di famigliari, chi ha autorizzato questi personaggi a trattare con la Mafia? In nome di chi lo hanno fatto? Quando si tratta c’è qualcosa a cui rinunciare, qualcosa che è negoziabile. Chi ha deciso questi qualcosa? Si tratta quando non si ha la forza di essere autonomi e allora si scende a compromessi. Perché lo Stato dichiara la sua debolezza alla Mafia? I Carabinieri scelsero con quale boss interloquire. Come se si trattasse di un’autorità politica legale.
Questa sentenza eleva un muro ad ostacolo della verità. Il nostro Paese è irrimediabilmente condannato a non fare i conti con se stesso. È il peccato originale che non ci permette una piena evoluzione in senso democratico.
Nelle motivazioni della sentenza, Marcello Dell’Utri, tra i fondatori di Forza Italia, risulta informato sulla trattativa ma non è condannato perché non ci sono prove dell’ultimo miglio ovvero non si è potuto accertare se riportò o meno le richieste di Cosa Nostra sino a Berlusconi che nel 1994 era nel frattempo diventato Presidente del Consiglio.
A decenni da questi fatti, giustizia e verità ancora non ci sono. La morale e l’etica si sono rassegnate o si sono colluse ma il risultato di questa resa è sotto gli occhi di tutti: Forza Italia con Berlusconi al governo, Dell’Utri organizzatore e promotore di campagne elettorali e candidati, interdittive antimafia mortificate dal governo dei migliori con il silenzio complice della sua maggioranza, la riforma Cartabia che risponde, come ha detto Gratteri, al desiderio di un rinnovato e consolidato “liberi tutti”.
Sarei sopraffatta dal senso di colpa se oltre a non aver appoggiato né l’ultimo governo né le sue opache leggi, mi arrendessi a tutto questo. Nessuno di noi deve sentirsi libero di farlo. Qualsiasi sia il nostro ruolo nella società.
Quelle morti di persone intransigenti che sono morte per mano di mafia gridano ancora Giustizia.
Ho espresso la mia riconoscenza e solidarietà a Nino Di Matteo indicandolo come Presidente della Repubblica. Oggi, a maggior ragione, rinnovo tutta la mia stima a lui, ai tanti altri magistrati e a quelle forze dell’ordine che mettono a rischio la propria vita per la Giustizia.