GUERRA UCRAINA, “EFFETTI COLLATERALI” NEI BALCANI. KOSOVO E BOSNIA A RISCHIO

DI ENNIO REMONDINO

 

 

La crisi in Ucraina una spinta per rilanciare le prospettive di pace o di tensione in tutta l’area attorno dove la Nato non gode di particolare apprezzamento. In Kosovo per l’ennesima impennata della tensione tra autorità kosovare albanesi e minoranza serba.
Mentre in Bosnia il ‘Garante Onu’ rinuncia a correggere l’impossibile geometria politica inventata a Dayton, con tre popoli e parlamenti relativi, due ‘Entità statali’, e una presidenza trina e impotente. E dove la comunità internazionale gioca nascostamente altre partite.

Kosovska Mitrovica, trincea sul fiume Ibar

«Barricate, sirene di allarme, colpi d’arma da fuoco, il tutto amplificato dal tam tam dei social media e dall’atmosfera di ansia generata dalla guerra in Ucraina», scrive Francesco Martino sull’Osservatorio Balcani. Allarmismi su unità dell’esercito di Belgrado ai confini del Kosovo, poi smentite, ma di fatto, il prodotto irrisolto della indipendenza kosovara dalla Serbia resa possibile dalla bombe Nato del 1999 senza un progetto politico serio e minimamente condiviso.

Guerra delle targhe auto, botta e risposta

Strategia della “reciprocità”, la chiama il premier kosovaro Albin Kurti, anche quando il ritorno a cui rispondere lo devi cercare nella storia. Basta targhe auto ex jugoslave, divenute serbe, colpo anche formale alla separazione di fatto di una parte del territorio kosovaro a totale popolazione serba sui confini con la madrepatria invocata. Albin Kurti è personaggio noto per provocazioni creative lontane, e la politica internazionale e la Nato locale, la Kfor, ma soprattutto l’ambasciatore Usa Jeffrey Hovenier, il vero potere politico riconosciuto a Pristina, “suggerisce” un rinvio, mentre la missione politica Ue, Eulex, conferma la sua impotenza a imporre regole condivise.

Kfor-Nato, memoria bombe e Belgrado

KFOR, missione militare Nato in Kosovo fin dal 1999 non è certo vista come forza neutrale da Belgrado. Tre mesi di bombardamenti “umanitari” segnano la storia, Milosevic cattivo o meno. E l’attuale presidente serbo Aleksandar Vučić, un po’ lo evoca, ma con maggior prudenza. Nessuna mobilitazione militare serba verso il Kosovo, con la scontata accusa alla autorità kosovare di diffondere disinformazione. Quasi tutto “già visto”, ma con tensioni internazionali attorno che hanno spinto Mosca a denunciare “provocazioni” da parte occidentale anche in Kosovo. Miccia corta in situazioni pericolosamente esplosive.

Bosnia Erzegovina, nazionalismi autoriprodotti

A un quarto di secolo dagli accordi di Dayton, la Bosnia Erzegovina verso nuove elezioni tra tensioni etno-nazionaliste, un’economia stagnante e tensioni più o meno spontanee a crescere. Al centro della crisi il superamento degli accordi di pace di Dayton del 1995, «e il cementarsi di sistemi cleptocratici attorno ai tre principali partiti nazionalisti del Paese (serbo, croato e bosniaco) e la radicalizzazione dei due nazionalismi centrifughi (serbo e croato)», la chiara sintesi di Alfredo Sasso sul Mulino

Spinte pericolose verso l’ignoto

Spinte disgregatrici. Dall’ottobre scorso la Republika Srpska ha creato istituzioni parallele a quelle nazionali, tra cui esercito, organi giudiziari e riscossione fiscale. Una secessione di fatto da Sarajevo. Poi i nazionalisti croati. Il leader Dragan Čović ha respinto tutte le mediazioni di riforma elettorale, per un sistema di voto basato più rigidamente sull’appartenenza etnica, e l’evocazione di una «terza entità» solo croata. «Come è consuetudine negli ultimi anni, Dodik e Čović hanno agito di sponda». Obiettivo minimo, ostacolare la costruzione di uno Stato funzionale e le ingerenze della comunità internazionale, per arrivare ad una rottura di sistema.

Terza spinta legata all’Ucraina

«Terza spinta, quella delle conseguenze della guerra in Ucraina, che ha paradossalmente agito in senso contrario alle prime due, almeno per ora». Russia impegnata su ben altri fonti dei Balcani. «Benché labile e persino sopravvalutata sul piano economico, l’influenza russa sulla Republika Srpska permane forte in ambito simbolico e diplomatico». Mentre Dodik sta cementando un’altra partnership importante con l’Ungheria di Orbán, che sta offrendo alla Rs sostegno finanziario, lobby ai tavoli europei e collante ideologico nel nome dei valori cristiano-conservatori e delle barriere anti-immigrazione.

Incertezze occidentali

Proprio all’indomani dell’attacco su Kiev, l’Ue ha raddoppiato il contingente della missione Eufor-Althea nel Paese. E gli Stati Uniti hanno inasprito le sanzioni contro Dodik e alcuni collaboratori per le loro «attività secessionistiche». Sull’intervento dell’«Alto rappresentante», il supervisore internazionale dell’attuazione degli accordi del 1995, «gli anglo-americani spingono per un maggiore interventismo per contenimento antirusso che per un progetto di sviluppo duraturo del Paese».

“E il Consiglio europeo dell 24 giugno ha concesso lo status di candidato a Ucraina e Moldavia, ma ha lasciato ancora fuori Sarajevo, periferia della periferia, relegata a un secondo piano anche negli affari balcanico-occidentali”.

Esplodere o dissolversi

Lo scorso aprile l’inflazione ha superato il 10%, il più alto nella regione, toccando il 15% sui beni alimentari e il 25% sui trasporti. E la «primavera bosniaca» del 2014 contro la crisi, e le proteste contro i «casi irrisolti» di omicidi insabbiati dalle autorità locali, sono finiti nel silenzio della rassegnazione. «L’opposizione sociale sembra principalmente evaporata e assorbita dall’emigrazione: alcune stime parlano di circa 500 mila persone che hanno lasciato il Paese nell’ultimo decennio, con cifre in continuo aumento».

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AVEVAMO DETTO

Da:
7 Agosto 2022