LA FRANCIA CHE BRUCIA NASCONDE GUAI PEGGIORI: CENTRALI NUCLEARI OBSOLETE MINACCIA PER TUTTI

DI PIERO ORTECA

 

 

Un gigantesco incendio nel sudovest della Francia. Diecimila persone in fuga, costrette ad abbandonare le loro case. Abitazioni in fumo. Aerei e personale sono arrivati in soccorso da altri paesi europei, due canadair italiani compresi.
Ma Piero Orteca scopre problemi francesi ancora più gravi, anche per noi vicini di casa. «Metà delle centrali nucleari è ormai decrepita ma Macron le tiene aperte. Perché nessuno protesta?

Il nucleare poco sicuro alle porte di casa

Quando noi italiani abbiamo detto no al nucleare con un referendum, lo abbiamo fatto, di sicuro, per dormire sonni più tranquilli. Ora non è che vorremmo allarmarvi più del dovuto, ma dovete sapere che, nel tanto decantato sistema di centrali atomiche francesi, affastellate ai nostri confini, ci sono diverse cose che proprio non quadrano. Gli impianti sono vecchi. Anzi, molti sono talmente decrepiti (e, per la proprietà transitiva, di sicuro “problematici”) che ne hanno dovuto mettere la metà “off-line”. Un modo elegante (e indolore) per dire che è meglio che, per ora, si fermino.

Una “sporca dozzina” chiuse, ma le altre?

Una buona fetta di centrali, una dozzina, visto che proprio cadeva a pezzi a causa della corrosione delle infrastrutture, è stata definitivamente chiusa. E il resto in che stato si trova? Domanda lecita, dati i chiari di luna finanziari in cui naviga (o, meglio, si è arenata) la EDF, la megasocietà che gestisce gli stagionati impianti. La notizia sulle magagne del nucleare transalpino circolavano già da un pezzo, ma senza il dovuto clamore. In fondo, il “vantaggioso” (solo economicamente parlando) utilizzo dei carburanti fossili e lo sfruttamento “di bandiera” di una quota di “rinnovabili” è bastato ai francesi, fino a due anni fa, non solo per tirare avanti, ma anche per esportare elettricità.

Italia a “luce” francese

Primo cliente affezionato: l’Italia. Basti pensare che Parigi, con la sua gigantesca rete di 56 centrali nucleari, è riuscita a tirare fuori dall’atomo circa il 70% del suo fabbisogno di energia. Ma poi la pandemia, l’interruzione della catena degli approvvigionamenti durante la ripresa post-covid e, da ultimo, l’invasione russa dell’Ucraina, hanno scombussolato tutti gli scenari. Improvvisamente, c’è stato bisogno di ogni kilowattora di energia, ovunque fosse recuperabile. E siccome la quasi totalità dei politici vanno per le spicce, a Bruxelles la crisi energetica ha fatto rimangiare a tutti, e di gran corsa, i solenni proclami ambientalistici e gli impegni che erano stati presi.

Ambientalisti del dopo

Se per Enrico IV di Navarra “Parigi valeva bene una messa”, per Emmanuel Macron l’economia della Francia vale ancora di più: la moltiplicazione delle centrali nucleari. E magari l’allungamento, un po’ forzato, del ciclo di vita di quelle già belle e decotte. A tutti i costi. Quanto? Assai, una barca di soldi.

Energia a “tutti i costi”

  • Flamanville 3, centrale (unica e sola) finita da poco, con ben dieci anni di ritardo, è costata 13 miliardi di euro. E già (dicono) fa acqua da tutte le parti.
  • Secondo il Financial Times, la centrale britannica di Hinkley Point, che stanno realizzando pure i francesi di EDF, tra aggiornamenti, revisioni e variazioni in corso d’opera, costerà la bazzecola di circa 30 miliardi di euro. Un botto. Anzi, ci sia consentito l’humor un tantino nero, una vera bomba atomica, finanziaria.
  • Anche perché quando la centrale da 3.2 Gigawatt del Somerset, nel 2016, ha avuto il via libera per la costruzione, la spesa stimata era di circa 20 miliardi di euro. Cioè, fatti i conti e tirate le somme, una power-plant nucleare Made in France, oggi, costa il 50% in più di sei anni fa.
  • Constatazione che spinge a riflessioni più approfondite sulla rivoluzione energetica “d’emergenza”.

Nucleare insicuro e costoso

Per la Francia, sembra di capire, la vetustà del sistema nucleare attuale è un problema che diventerà velocemente insormontabile. L’obsolescenza dei sistemi di raffreddamento, dovuta alla corrosione, pone dei questioni di sicurezza. Allungare la vita delle centrali è un rischio. Costruirne di nuove, come abbiamo visto, costa un patrimonio e richiede molto tempo. Secondo alcuni report del Financial Times, l’EDF ha difficoltà a reperire personale specializzato. Si parla addirittura di ingegneri progettisti nucleari e saldatori qualificati. Tutta questa situazione di precarietà cozza con i programmi faraonici annunciati da Macron a febbraio, con l’ormai famoso discorso di Belfort.

Politica radioattiva

Il Presidente francese, forse facendosi prendere la mano dalla campagna elettorale, ha delineato un ambizioso progetto di rilancio del nucleare. L’obiettivo è (o sarebbe) quello di costruire sei megacentrali entro il 2050, imperniate su versioni avanzate dei reattori pressurizzati europei. Il programma potrebbe essere addirittura integrato da una seconda serie di otto reattori, una mossa che consentirebbe alla Francia una transizione energetica con un grande spazio di manovra. Tutto questo sulla carta, perché, come abbiamo visto, l’attuale situazione finanziaria del Paese non consente di fare sogni di gloria.

Le centrali invecchiano, ma noi attorno?

Come “piano B” Macron ha proposto di allungare la vita media delle vecchie centrali da 40 a 50 anni. Ed è questo il punto che, anche alla luce di ciò che finora abbiamo scritto, proprio non può lasciare tranquillo nessuno. La situazione finanziaria di EDF è talmente pregiudicata che il traballante “governo del Presidente” ha deciso di nazionalizzare completamente la società, di cui già deteneva l’84 per cento. Macron, però, deve capire che la scelta di tenere ancora in vita centrali nucleari obsolete è un rischio molto grave.

“E non solo per la Francia, ma anche per l’Italia che, paradossalmente, dopo avere rifiutato l’atomo, adesso deve temere che qualche minaccia possa arrivare dalla porta accanto”.

da:
13 Agosto 2022

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PIERO ORTECA

Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale