AUTOBOMBA A MOSCA, RITORNO AGLI ATTENTATI? TANTI, AI TEMPI A PARTIRE DAGLI ZAR

DA REDAZIONE

 

 

Un ordigno esplosivo sull’auto della giornalista Darya Dugina figlia del discusso ideologo neonazista Alexander Dugin. Bersaglio incerto con incerto mandante. Colpire chi per colpire indirettamente Putin? Tta Mosca e Kiev scambio di accuse.
Colpire chi e per colpire indirettamente Putin? Difficilmente ne sapremo qualcosa. Una tragica tradizione russa quella dell’attentato, che Punzo ricostruisce a partire dagli Zar. Tanti da meritare due puntate.

La Russia zarista, terreno fertile

Nella seconda metà dell’Ottocento uno dei paesi in cui maggiormente si diffuse la pratica dell’attentato politico fu indubbiamente la Russia zarista. I motivi sono abbastanza comprensibili e si riassumono in una sola parola: autocrazia. Sebbene esistessero una classe aristocratica abbastanza colta e fedele alla dinastia e una vivace classe intellettuale di ottimo livello capaci di governare, Il potere era controllato e gestito esclusivamente dallo zar in persona e da un cerchia ristretta che godeva della sua fiducia.
Un primo tentativo di attuare riforme risale al 1861, quando fu abolita la servitù della gleba: in precedenza infatti il proprietario terriero non si limitava ad esercitare il proprio potere sui beni materiali, ma anche sui contadini, come racconta lo scrittore Nikolaj Gogol con arguzia e ironia in «Le anime morte».
Un’altra riforma interessò anche l’amministrazione della giustizia istituendo la giuria popolare, ma durò poco: processata per aver sparato al capo della polizia che faceva frustare i prigionieri incarcerati, Vera Zasulič fu assolta dalla giuria, ma il presidente del tribunale fu messo sotto inchiesta dal ministro e rimosso, mentre fu abolita la giuria anche negli altri processi.

La prima ondata

Dopo la repressione della rivolta in Polonia nel 1863, gli atti rivolti contro le autorità con movente politico si moltiplicarono. Il 4 aprile 1866 (16 per il calendario giuliano) Dmitrij Karakozov attentò alla vita di Alessandro II senza tuttavia colpirlo: arrestato, processato e condannato a morte, fu giustiziato il 16 settembre.
Ma nonostante le più drastiche misure repressive, gli attentati continuarono: in un solo anno, tra il febbraio 1878 e il marzo 1879, furono almeno una decina tra i quali il tentato omicidio del procuratore generale di Kiev; a Pietroburgo l’assassinio in pieno giorno del generale Mezentzev, capo della polizia politica; un fallito attentato contro il suo successore generale Drentlen e contro il governatore di Kharkow, ucciso da un colpo di pistola e altri attentati contro ufficiali della gendarmeria.
Nell’aprile 1879 fu compiuto un secondo attentato contro lo zar che uscì nuovamente illeso. Sempre contro lo zar e la famiglia imperiale vi furono anche tre tentativi di far saltare in aria il treno imperiale che a causa di un ritardo non subì danni. Dalla pistola si era ormai passati agli esplosivi.

L’attentato al Palazzo d’Inverno

Il tentativo più clamoroso di uccidere la famiglia imperiale avvenne però a Pietroburgo, quando un ebanista, Stefan Chalturin, tentò di far saltare in aria la sala da pranzo mentre la famiglia era riunita a tavola. Per compiere il gesto Chalturin, abile e apprezzato artigiano, si era fatto assumere sotto falso nome come falegname dall’amministrazione del palazzo e, nel corso di un anno intero, aveva pazientemente e diligentemente posto cariche di dinamite sotto la stanza. La sera del 5 febbraio 1880 (17 secondo il calendario russo) avvenne la deflagrazione che uccise una decina di soldati di guardia, ma lo zar e la famiglia si salvarono per l’ennesima volta a causa del ritardo di un ospite.
Chalturin riuscì a fuggire, ma nel 1882, ritornato in Russia, fu arrestato e giustiziato. Nel frattempo però erano sorti anche dei seri dubbi sull’efficienza della polizia: Chalturin infatti era stato trovato in possesso di un disegno della pianta del Palazzo con dei segni particolari, ma la polizia non aveva dato peso alla cosa trattandosi di un artigiano che vi lavorava all’interno.

L’attentato finale

Lo zar Alessandro II aveva l’abitudine di recarsi ogni domenica al maneggio di piazza San Michele e di intrattenersi con gli ufficiali della cavalleria della guardia imperiale. Il 13 marzo 1881 ( il 25 per il nostro calendario) Alessandro fu vittima dell’ultimo attentato: Nikolaj Rysakov lanciò una bomba sulla carrozza e per l’ennesima volta lo zar rimase illeso. Mentre però, sceso dalla carrozza, si intratteneva coi cosacchi che avevano arrestato il primo attentatore, un secondo, Ignatij Grinevickij, lanciò un altro ordigno. Per essere sicuro di colpire il monarca, Grinevickij si era però avvicinato troppo e rimase anch’egli mortalmente ferito.
Rysakov, interrogato dalla polizia, rivelò però i nomi degli altri cospiratori che furono arrestati e giustiziati il 15 aprile. Dall’attentato al Palazzo d’Inverno compiuto da Chalturin era trascorso poco più di un anno e vent’anni erano invece trascorsi da quando lo stesso zar aveva firmato il decreto per l’abolizione della servitù della gleba. Nonostante il tempo poche cose sembravano cambiare.

28 Agosto 2022

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GIOVANNI PUNZO

Giovanni Punzo di mestiere dovrebbe aggiustare ciò che scrivono gli altri -fa l’editor- ma ha preso il vizio. Scrive di storia militare, altro ‘contagio’ per aver fatto l’ufficiale degli alpini. Da lui le guerre ‘dei nonni’ all’origine di quelle di oggi.