MAI PIU’: 28 AGOSTO 1931, LE PRIME LEGGI RAZZIALI IN ITALIA

DI RINALDO BATTAGLIA

RINALDO BATTAGLIA

 

Il 28 agosto del 1931 divenne operativo il regio decreto n. 1227 che, all’articolo 18, obbligava tutti i docenti universitari a giurare devozione «alla Patria e al Regime Fascista».

«I professori di ruolo e i professori incaricati nei Regi istituti d’istruzione superiore sono tenuti a prestare giuramento secondo la formula seguente:

Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concili coi doveri del mio ufficio”.

Solo 12 professori su 1225 rifiutarono l’atto di sottomissione al regime e alle regole razziste del regime, visto e considerato che – come diceva spesso il Duce – il ‘razzismo’ è base fondamentale del fascismo fin dal 1919…. .

Di fatto e nella sostanza sono in Italia le prime leggi razziali: gli ebrei vennero così esclusi ed espulsi dal sistema culturale, accademico, sociale e politico del nostro paese. Dopo  arriveranno quelle del 1938, ma la ‘base’ giuridicamente partiva da quel 28 agosto 1931.

A titolo di memoria per chi sostiene che Mussolini è stato il più importante politico del secolo scorso, va detto che su una cosa – una sola – ha ragione: è stato il primo politico a legalizzare il razzismo in Italia e in Europa. Hitler in Germania sarebbe salito al potere solo 2 anni dopo (30 gennaio 1933). E’ arrivato sulla strada del crimine solo e soltanto dopo Mussolini.

Solo 12 professori su 1225 rifiutarono l’atto di sottomissione al regime.

Solo dodici non giurarono e vennero così ignobilmente cacciati. Come ladri sorpresi a rubare.

Altri 1213 si voltarono dall’altra parte, o perché convinti e ripagati dal fascio  o perché indifferenti. Ma vi era differenza?

Questo è stato il fascismo, questo è stato il Duce: tutto il resto non conta.

Solo dodici, di certi i migliori, quelli che vedevano oltre, oltre l’odio di regime, oltre gli affari e e truffe del fascismo, oltre la perdita della libertà per gli italiani. E meritano un ricordo.

Forse se qualcuno ha bisogno ancor ‘oggi di suggerimenti per dedicare vie o piazze a persone degne di questo, qui troverebbe materiale idoneo:

– Ernesto Buonaiuti (Storia del cristianesimo, dell’Università di Roma): durante la seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre 1943, nascose per qualche mese nella sua casa romana un ragazzo ebreo, Giorgio Castelnuovo, allora tredicenne, affidatogli dalla famiglia, salvandolo così dalle deportazioni. Per questo Buonaiuti ricevette nel 2012 il riconoscimento postumo di ‘Giusto tra le nazioni’ dall’istituto Yad Vashem di Gerusalemme.

– Mario Carrara (Antropologia criminale, dell’Università di Torino): nel 1935 la sua casa fu perquisita nell’ambito dell’operazione che portò all’arresto degli ebrei Vittorio Foa e Massimo Mila; nell’ottobre 1936 fu arrestato per attività contro il regime fascista, e solo la sua età avanzata lo salvò dal confino. Detenuto alle carceri Nuove di Torino, dove continuò a lavorare al suo Manuale di medicina legale, morì nel giugno successivo.

– Gaetano De Sanctis (Storia antica, Università di Roma): Fu reintegrato nei suoi ruoli nel 1944, dopo la liberazione di Roma, e proclamato professore a vita. Fu commissario dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo dal 1945 al 1952 e dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano e del Museo Centrale del Risorgimento nel complesso del Vittoriano dal 1944 al 1952. Nominato senatore a vita da Luigi Einaudi nel 1950, fu presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana (Treccani) dal 1947 al 1954. Un illuminare.

– Giorgio Errera (Chimica, Università di Pavia) al momento dell’espulsione la sua facoltà non mancò di adottargli e verbalizzargli una delibera di saluto; ma il camerata Paolo Vinassa de Regny, rettore dell’Università di Pavia, trattenne il verbale di saluto e fece in modo che non gli venisse mai inviato: il grande professore Errera era ebreo. Razza inferiore.

– Giorgio Levi della Vida (Lingue semitiche, Università di Roma): anch’egli ebreo, il 22 settembre 1939 si imbarcò sulla  nave Vulcania, alla volta degli Stati Uniti, Qui svolse il suo insegnamento presso la Università della Pennsylvania a Filadelfia, fino al 12 ottobre’ 45 quando a guerra finita preferì ritornare nella sua Italia. A Roma riprese quindi l’insegnamento accademico, dopo essere stato reintrodotto nei ruoli universitari.

Deluso dal quadro politico dell’immediato secondo dopoguerra, tornò però ancora a insegnare presso l’Università della Pennsylvania dal 1946 al 1948, e qui ebbe tra i suoi studenti Noam Chomsky, prima di stabilirsi definitivamente a Roma e insegnare all’Università La Sapienza fino al 1959.

– Fabio Luzzatto (Filosofia del Diritto, Scuola Sup.Agricoltura, Milano): ebreo, medaglia d’oro nella Grande Guerra.  Dopo l’8 settembre 1943 riescì a sfuggire alle deportazioni, espatriando in Svizzera con la famiglia e rientrando solo a guerra finita..

– Piero Martinetti (Filosofia, Università di Milano): uno dei più grandi filosofi del nostro paese. Venne più volte arrestato dall’OVRA  e nel 1935 fu incarcerato a Torino per sospetta connivenza con gli attivisti antifascisti di  Giustizia e Libertà.

– Bartolo Nigrisoli (Clinica chirurgica, Università di Bologna): nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Da quel momento fu inviso al regime fascista, insieme agli altri otto professori bolognesi che siglarono il documento. Nigrisoli mantenne la cattedra fino al dicembre 1931, quando venne costretto a lasciare per aver rifiutato di giurare fedeltà al regime fascista. Il rettore Alessandro Ghigi, lo difese invano: «Il professor Nigrisoli non è un fascista ma è uno degli uomini più popolari dell’Emilia, non solo per la sua valentia di chirurgo, ma anche per la sua grande generosità e per la sua modestia».

– Francesco Ruffini (Diritto Ecclesiastico, Università di Torino): nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel 1928  subì un’aggressione da parte di un gruppo di fascisti all’interno dell’Università di Torino, dove insegnava. Senatore del Regno e strenuo laicista, insieme a Benedetto Croce e Alberto Bergamini criticò apertamente il Concordato del 1929.  Mori pochi anni dopo la sua cacciata dalle Università.

– Edoardo Ruffini Avondo (Storia del diritto,’Università degli Studi di Perugia): figlio del prof. Francesco. Come il padre non firmò e questo gli costò le dimissioni coatte e la radiazione dall’Ordine degli Avvocati. Sarà reintegrato nel 1946, sia nell’avvocatura sia nell’insegnamento presso l’ateneo perugino.

– Lionello Venturi, (Storia dell’arte, Università di Torino): tra i più grandi  critici d’arte e storici dell’arte del nostro paese. Dopo il 1931 si trasferì a Parigi, dove rimase sino al 1939, e poi a New York fino al 1944. Nel 1945 ritornò in Italia, a Roma, dove riprese l’insegnamento universitario sino al 1955, costretto 15 anni prima ad abbandonare a Torino. Molte le sue pubblicazioni e i successi per la sua attività. Morì nel 1961.

– Vito Volterra (Fisica matematica, Università di Roma):   forse il più affermato tra i matematici della storia d’Italia. Fu uno dei fondatori dell’analisi funzionale e della connessa teoria delle equazioni integrali. Il suo nome è noto soprattutto per i suoi contributi alla biologia matematica. Ebreo, a soli 23 anni, nel 1883, diventò professore di meccanica razionale all’Università di Pisa. Dopo il 1931 visse ed insegnò in Spagna e Francia, ma prima di morire sulla soglia degli 80 anni, nel 1940, volle tornare nella sua Italia.

Solo dodici.

Questo è stato il fascismo, questo è stato il Duce: tutto il resto non conta.

Un giorno, Piero Calamandrei, un grande conoscitore del regime di Mussolini e pertanto suo acerrimo oppositore, divenuto poi uno dei ‘padri fondatori’ della nostra Repubblica, in tre righe fece la sintesi completa di vent’anni di regime. Tre righe, non serviva di più, ma molto attuali e di prorompente portata:

“il ventennio fascista non fu, come oggi qualche sciagurato immemore figura di credere, un ventennio di ordine e di grandezza nazionale. Fu un ventennio di sconcio illegalismo, di umiliazione, di corrosione orale, di soffocazione quotidiana, di sorda e sotterranea disgregazione morale.”

Questo è stato il fascismo, questo è stato il regime di Mussolini: tutto il resto non conta.

28 agosto 2022 – 91 anni dopo – Rinaldo Battaglia

liberamente tratto dal mio “A Podhum io scrivevo sui muri”– ed. Ali Ribelli – 2022

Copertina dall’archivio del Corriere della Sera