DI RINALDO BATTAGLIA
Il 2 settembre 1945, 77 anni fa, in una domenica di fine estate ufficialmente finiva la più grande catastrofe umana della Storia. Solitamente la si sintetizza con due date:1 settembre 1939 – 2 settembre 1945.
Per noi europei – egocentrici da sempre – preferiamo fermarla all’8 maggio (9 a Mosca) per “risparmiare” un po’ di tempo e dignità, ma, essendo stata “mondiale”, storicamente questa è più corretta. Quel giorno infatti, a bordo della nave da guerra USS Missouri, ancorata nella Baia di Tokyo, a casa del nemico – come aveva detto a suo tempo Douglas MacArthur, poco dopo Pearl Harbor, preannunciando che la guerra si sarebbe conclusa solo quando la bandiera Usa sarebbe lì arrivata – il Giappone nella figura del ministro degli Esteri Mamoru Shigemitsu e del generale Yoshijirō Umezu, firmò la resa incondizionata. (…)
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945.
Per tutti gli storici quelle due date sono importantissime, per capire il prima ed il dopo di quella orribile tragedia. Ma io – forse perché non sono uno storico – resto più colpito da quel trattino che divide le due date. Perché, quello non è un semplice carattere della penna e del p.c. o una piccola linea tra due numeri. E’ molto di più. Quel piccolissimo trattino tipografico rappresenta 72 milioni di morti , due bombe atomiche, migliaia di città distrutte e rase al suolo, 5 continenti in guerra, 30 milioni di profughi verso altre terre meno straniere, 5 milioni di prigionieri di guerra, 13 milioni di “schiavi” nei lager dove lo sterminio arrivava tramite il lavoro.
Di quei 72 milioni di vittime, ben 47 erano civili, “senza armi in pugno” e di questi 20 milioni perirono causa la fame e le malattie generate dalla guerra. Gli sconfitti (il famoso “Asse del male” Berlino – Roma – Tokyo) persero oltre 11 milioni di vite, i vincitori – gli altri – 61 milioni di cui 6 solo di ebrei e oltre 23 milioni nella, ora defunta, URSS di Stalin. Numeri spaventosi, numeri infernali. Chiamarla solo “catastrofe” non ci rende probabilmente l’idea.
E tutto successo per mano dell’uomo, tra quelle due date. Quel trattino ricorda tutto e sintetizza in, forse, neanche un millimetro, 6 lunghi anni di storia, 6 lunghi anni di morte, sangue, sofferenza. E, dopo quei lunghi 6 anni, il mondo si scoprì totalmente diverso da com’era 6 anni prima.
Ogni paese risultò distrutto, almeno nell’anima, se non nel corpo. Nessuno fu esente e chi forse subì meno in casa, sul proprio territorio, mai dimenticherà la domenica di Pearl Harbor e i 415.000 suoi soldati, uccisi fuori dai suoi confini
Nessuno è stato senza lutti e nessuno senza colpe. In ogni angolo di guerra, vi sono stati massacri, eccidi, crimini e lo stesso finire della guerra con Hiroshima e Nagasaki confermerebbe questa tesi. Del resto, il libro della Storia è sempre stato pesante e difficile da studiare o più complesso e complicato di quanto si possa pensare. Perché soprattutto la ragione non è mai stata e mai sarà da una parte sola. Ogni riva del fiume nasconde qualcosa. Ogni libro, di ogni paese, presenta pagine chiare e pagine scure. Quello della nostra Italia forse anche più di altri.
Alessandro Barbero un giorno scrisse che “la storia è la capacità di studiare un evento storico capendo le ragioni degli uni e degli altri, senza paura di dire che qualcuno ha più ragione”. O forse – mi permetto di aggiungere io – dati i tempi “meno torto”.
Pochi giorni fa era il 24 agosto. Il giorno prima, 83 anni fa, il 23 agosto Hitler e l’uomo forte – allora – di Mosca definirono il patto che permise ai nazisti di attaccare la Polonia da est, lasciando la strada aperta ai sovietici che faranno altrettanto il 17 settembre, nell’altra metà, già concordata e condivisa quale loro spettanza. Nel 2022, invece, il 24 febbraio, 6 mesi fa l’uomo forte – ora – di Mosca ha invaso, da terra coi carri armati e dall’alto coi missili, la vicina Ucraina. Sono già passati oltre 6 mesi, oltre metà di un anno. Abbiamo la data iniziale, il trattino di mezzo, ma manca la parte per il libro della Storia più importante: la data finale. E ogni giorno che si consuma, quel trattino diventa più pesante e “lungo”.
E – a pensarci bene – è in ogni caso solo e soltanto terribile. Sorprendente e terribile. Sorprendente perché non era pensabile che nel 2022 si ritornasse così indietro. Ma se si studiasse un po’ di più la Storia, i segnali erano già nell’aria, un po’ come prima del settembre 1939.
Anche con interferenze nelle politiche di altri paesi, a mezzo “aiuti” ufficiali o meno. Hitler e Mussolini avevano finanziato e preparato, in quegli anni, infiniti gruppi stranieri perché facessero i loro interessi nei rispettivi paesi, vedi – solo come piccoli esempi – Ante Pavelic aiutato dal Duce o il British Union (of Fascists and National Socialists) di Oswald Mosley in Inghilterra ai tempi di Arthur Neville Chamberlain.
Oppure, come nel caso sempre di Chamberlain, “amicando” con leader politici di altri Stati. Ricordiamo che fu proprio Chamberlain – in assoluta buona fede e voglioso di pace – il fautore dell’accordo di Monaco del ‘38, che favorì poi Hitler e Mussolini, convinti della loro forza e della paura degli altri (il 22 maggio ‘39 arrivò così il Patto di Acciaio ed il 1 settembre appunto l’invasione della Polonia). Chamberlain ebbe però l’onestà intellettuale subito di dimettersi, ammettendo i propri errori di valutazione politica e morale:“mi ero fidato di Hitler e ora non posso proseguire. Mi dimetto”. Si era fidato del Fuhrer – a suo dire – “il cane più volgare che io abbia mai visto”, si era sbagliato e cambiò mestiere.
Ho visto da noi politici invitare uomini di Putin (Konstantin Malofeev, Viktor Zubarev) ai propri congressi, incontrare o far incontrare collaboratori (Gianluca Savoini) con strani imprenditori al Metropol di Mosca, ho visto ex-premier esaltare Putin anche dopo le invasioni della terre altrui, quando già si era andati contro il diritto internazionale, o dopo che aveva eliminato giornalisti scomodi o tenaci oppositori, ho osservato persino che il mio Veneto è stato la prima Istituzione in Europa a riconoscere, già nel maggio 2016, la nuova Crimea, la nuova Crimea invasa da altri contro le leggi internazionali vigenti.
Come i Sudeti, come l’Austria ai tempi dell’Anschluss. Prima i Veneti, per davvero, come dicono orgogliosi dalle mie parti. E’ stata decisa – si giustifica – “per motivi economici”. Come se per ogni guerra, non fosse così. Ho visto troppi politici sbagliare le loro valutazioni come Chamberlain, ma non ho visto altrettanta onestà intellettuale e nessuno che dica “mi ero fidato di Putin e ora non posso proseguire. Mi dimetto”. Nessuno che ammetta di aver sbagliato e che cambi mestiere. E sono passati già 6 mesi.
Ogni libro di Storia per ogni paese presenta sia pagine chiare che pagine scure. E ogni pagina evidenzia scene di eroismi, viltà, ipocrisia. Ognuno può pensarla o vederla come vuole. Resta una cosa però per me importante: chi invade, ed aggredisce l’altro, ha sempre torto. Non è un discorso di essere pacifisti – chi non lo è? – ma soprattutto in Italia dal dopoguerra in poi, – causa in primis le mille amnistie sin dal giugno ’46 – abbiamo perso le differenze tra aggressori ed aggrediti, tra carnefici e vittime, tra chi invade coi carri armati e chi viene invaso coi carri armati, tra chi bombarda dal cielo e chi dal cielo viene bombardato, tra legalità ed illegalità internazionale, in sintesi tra fascismo ed anti-fascismo.
Nella primavera 2021 un giornalista, che ora parla tanto, mi scandalizzò quando disse che “grazie al covid quest’anno non ci sarà la retorica del 25 Aprile”. Una neo-eletta, dal cognome famoso, a Roma postò una sua foto con la scritta “il 25 aprile festeggio solo San Marco”. Ma, in Italia, quel 25 Aprile rappresenta la liberazione dagli invasori e da chi era socio e complice convinto degli invasori. Invasori ed invasi non sono la stessa cosa. Aggressori ed aggrediti hanno diritti diversi se non opposti. Nel 1945 e nel 2022.
Chi invade ed aggredisce ha sempre torto. Se partiamo da questo principio, usando tutte le armi della diplomazia probabilmente il trattino tra due date, per questa nuova guerra in Europa, sarà meno pesante. Ad oggi – dopo oltre 6 mesi – lo è già stato fin troppo. A meno che si aspetti la distruzione totale del paese (o dei paesi) che usciranno nei libri della Storia come perdenti, come avvenuto per la Germania e l’Italia nel 1945. Facciamo tutti in modo – come Europa unita, senza dare ancora troppa voce agli isolazionisti e ai suprematisti interessati – quanto prima, si arrivi alla data dopo quel trattino.
Ad oggi sarebbe già troppo tardi. Perché quel piccolissimo trattino tipografico rappresenta ancora morti, rischi seri di bombe atomiche, città distrutte, bambini uccisi ed infanzie perdute.
Non è un trattino, sono vite.
2 settembre 2022 – 76 anni dopo – Rinaldo Battaglia
liberamente tratto da “A Podhum, io scrivevo sui muri”– ed. Ventus/AliRibelli – 2022 e appunti sul prossimo libro “L’inferno è vuoto”.