DI ALFREDO FACCHINI
Se nasci a Gaza e ti ammali, il rischio di morire senza cure è impresso nel destino di ogni palestinese.
Lui è il piccolo, Faruk Abu Naja, 6 anni. Si è spento il 24 agosto.
Le autorità israeliane per 2 volte gli hanno negato il trasferimento per delle cure adeguate fuori dalla Striscia.
Farouk, aveva due appuntamenti programmati all’Hadassah Medical Center, a Gerusalemme, il 12 gennaio e il 10 agosto. Ma i permessi di uscita sono rimasti “sotto esame” dalle autorità israeliane.
La madre di Faruk: ”La sua salute stava peggiorando rapidamente davanti ai miei occhi mentre aspettavo disperatamente la loro approvazione”.
Israele ha introdotto il sistema di permessi per la Striscia nel 1991.
Da allora il diritto alla salute è una chimera.
Ogni anno circa 200.000 palestinesi richiedono l’autorizzazione da Israele per viaggi legati a ragioni mediche.
L’Oms riferisce che tra il 2008 e il 2022, circa il 30% dei permessi dei pazienti è stato negato o ritardato e i richiedenti non hanno ricevuto la risposta definitiva entro la data della loro convocazione in ospedale. Di questi, il 24% erano malati di cancro e il 31% erano bambini.
Nello stesso periodo sono stati 839 i decessi di pazienti in attesa di una risposta da Israele.
Il blocco cui è sottoposta dal 2007 ha trasformato Gaza in una vera e propria prigione a cielo aperto.
A Gaza manca tutto: farmaci salvavita, macchinari, manutenzione. Il sistema sanitario è al collasso: chemioterapia, radioterapia e le scansioni Pet/Tc non sono più disponibili.
Tutto questo, avvolto in un silenzio assordante, ha un solo none: apartheid.