DI TURI COMITO
Ho avuto occasione di vedere in anteprima, grazie all’invito di un prezioso amico, “Spaccaossa”, un film che uscirà in 40 sale italiane il prossimo 24 novembre.
Il regista Vincenzo Pirrotta, attore di grande talento, che era presente alla presentazione ha, more solito, invitato il pubblico, nel caso avesse gradito il film, a promuoverlo.
Non so quanto le impressioni che cercherò di trascrivere qui serviranno a questo scopo, ma l’augurio è che servano.
Perché “Spaccaossa” non è un film “comune”.
E’ un film sociale e politico come non è frequente vederne.
Non è una storia intimistica. E’ una storia sociale.
E’ un film verghiano. Dove i protagonisti sono i “vinti” e dove la fatalità e il destino segnato dalla nascita, non ammettono cambiamenti che deviino da quello che deve essere.
Il film non è gettare lo sguardo sopra un fatto di cronaca realmente accaduto per impressionare chi vede il film. E’ un interrogarsi e un interrogare su fatti, cause di quei fatti, conseguenze.
E’ il racconto pacato e paziente – e per questo coinvolgente e a tratti spiazzante – di una violenza estesa eppure invisibile che esiste nelle società nelle quali viviamo e che tendiamo ad ignorare.
E non sto parlando della violenza che ci racconta la cronaca nera. Sto parlando della violenza sistemica, quella generata dal sistema sociale e che è quella che provoca presso specifiche fasce sociali (il sottoproletariato urbano si diceva una volta) esclusione, marginalità, povertà.
Il racconto di Pirrotta si sviluppa attorno e dentro un collettivo sociale. Una galleria di personaggi invincibilmente “negativi” e vinti; la maggior parte di questi instupiditi dalle loro condizioni economiche, sempre prossime al collasso, che cercano ogni occasione per liberarsi, almeno temporaneamente, dalla schiavitù del denaro necessario praticamente per ogni cosa. Il denaro, che in questi casi vuol dire semplicemente sopravvivenza, in questa narrazione, è centrale. E’ il dominatore di ogni relazione sociale. Ha sostituito affetti parentali, relazioni amicali, sentimenti.
E non cambia molto questo quadro, anzi, semmai lo rafforza, il “cattivo” che è anche l’unico “ricco” della storia. La sua avidità, il suo cinismo criminale, mettono ancora più in risalto questa dipendenza fisica e psicologica dal denaro. Che quando c’è non basta mai e quando non c’è distrugge.
E’ in questo senso che considero “Spaccaossa” un film “sociale”.
E d’altra parte serpeggia, lungo tutta la pellicola, una specie di rabbia dell’autore verso un mondo che ha dimenticato gli ultimi, i vinti appunto, quelli il cui futuro è segnato dalla fine dell'”ascensore sociale” e che non hanno altro destino che continuare a perpetuarsi così come sono.
Alcune frasi che sembrano buttate lì e che invece si rivelano come sentenze definitive (“morirà come la madre: tossica e prostituta”) e lo stesso finale, cioè il finale per ognuno dei personaggi del racconto, non danno adito a nessun fraintendimento – se mi si permette l’arroganza – nel sostenere questa ipotesi: l’autore prova una rabbia intima incomprimibile per le condizioni del mondo che ha descritto e di quello che non ha descritto ma che, come un fantasma, è presente lungo tutta la narrazione: il mondo dei “normali”, di quelli che non vivono di espedienti e di stenti e che ignorano o vogliono ignorare quello che sta accanto a loro.
E’ in questo senso che parlo di film politico.
Perché il fatto di cronaca in sé (morti di fame che si facevano rompere le ossa per intascare gli spiccioli di rimborsi assicurativi in truffe organizzate nella Palermo di pochi anni fa) alla base del racconto è del tutto secondario. Non si racconta un fatto, né qualche aspetto di una città..
Si racconta un mondo, una società che esiste laddove il film è stato girato, a Palermo, come esiste in qualunque città dove ci sono periferie umane e sociali.
E chi ci vede, o ci vedrà, solo la rappresentazione, ennesima, di certe devianze sociali magari territorialmente circoscritte è solo un piccolo provinciale per giunta mezzo cieco che non vede oltre l’orizzonte datogli dal divano di casa dove guarda tv addormentantosi.
Mi rendo conto di non avere parlato abbastanza della trama del film. Di non avere speso una parola sulla bravura degli attori e degli autori. Di non avere lodato l’accuratezza delle scene, delle luci, del parlato (il film è recitato in siciliano) che rendono ogni scena una tessera di mosaico indispensabile per capire tutta la figura del mosaico stesso.
Poco male: la trama la potete recuperare quando e come volete. Gli attori, eccellenti, potrete giudicarli voi stessi così come tutto il resto.
A me qui, importava dare seguito all’appello del regista che invitava a parlare del film se questo avesse suscitato emozioni.
Tutto quel che ho scritto testimonia che il film non ha suscitato solo emozioni. Ha stimolato pensiero, riflessione, attenzione, comparazione. Domande nuove sono sorte e altre vecchie sono tornate prepotenti.
Per quanto mi riguarda non potevo sperare di meglio rispetto a quel che ho visto e non saprei come altro invitare qualcuno a vedere questo film.