LA GUERRA IN UCRAINA “ESAGERA” MA BIDEN-PUTIN NON SANNO COME USCIRNE

DA REDAZIONE

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Titoli sul “dialogo”, ma al momento siamo all’elenco dei No contrapposti. Mentre la guerra cambia. Putin, annuncia l’ANSA, apre ai colloqui ma dice no alle condizioni Usa, cioè che prima le truppe di Mosca lascino il territorio ucraino. E gli Stati Uniti devono riconoscere come territorio della Federazione le regioni ucraine recentemente annesse. Putin, lo dice al telefono col tedesco Scholz, e Biden gli risponde via Macron senza nulla di nuovo
Parole attorno al nulla in cerca di vie di fuga. Mentre intanto, a nove mesi dal suo inizio, è la guerra che cambia.

La politica del tanto dire nel poco fare

Macron il mediatore tra Biden e Putin ma alla fine il presidente Usa fa sapere che non ha alcuna intenzione di discutere con Putin. E i fatti non sono migliori delle parole. Gli investimenti che Russia e Stati uniti hanno programmato nel comparto militare. «A Mosca nel 2023 alzeranno del 50 per cento il budget dell’esercito, ora attorno agli ottanta miliardi di dollari, e di una volta e mezzo gli investimenti nella produzione bellica», segnala Luigi De Biase sul Manifesto. Mentre gli Stati uniti hanno dato il via libera pochi giorni fa a una commessa da un miliardo e duecento milioni di dollari per fornire all’Ucraina sei sistemi antimissile di nuova generazione che la multinazionale americana Raytheon consegnerà nei prossimi mesi.

Fermi alle origini del contenzioso Russia-Nato da cui è nata la guerra. Allora i diplomatici russi avevano avanzato una serie di proposte sulla sicurezza in Europa che comprendevano la chiusura delle basi Nato nell’area del Mar Nero e la neutralità ucraina. Nessuno accettò di discuterle.

Nove mesi di guerra dopo

La carta di Limes in copertina è un aggiornamento sull’invasione russa dell’Ucraina e fotografa la situazione a nove mesi dall’inizio del conflitto, con le valutazioni strategiche e militari di Mirko Mussetti. È possibile osservare alcune importanti differenze sul campo rispetto a settembre e all’inizio dell’«operazione militare speciale» ordinata dal presidente russo Putin il 24 febbraio 2022.

Ritirata russa su posizioni stabili

Il cambiamento sul terreno più evidente è il ritiro delle forze russe da Kherson e dalla sponda destra (ovest) del fiume Dnepr. Ripiegate su posizioni più difendibili, le truppe russe possono continuare a bombardare con la propria artiglieria il capoluogo ormai spopolato della regione formalmente annessa dalla Federazione Russa. Di fatto, le stesse pretese territoriali russe ridimensionate sul campo.

La ‘terrazza di Kerson’

Il ripiegamento dalla “terrazza di Kherson”, spiegano gli esperti di cose militari e scrive Limes, «stronca i sogni russi di ulteriore progressione verso ovest, cioè verso Mykolajiv/Nikolaev e soprattutto verso la città portuale di Odessa. Appare ormai stroncato in questa fase bellica il tentativo moscovita di collegare i territori russi e filorussi di Donbas, Crimea e Transnistria». Le truppe di Mosca, aggiunge Mirko Mussetti, devono guardarsi anche dai tentativi delle forze speciali di Kiev di riconquistare la penisola di Kinburn lembo di terra fondamentale per l’isolamento dei porti fluviali di Kherson e Mykolajiv e del porto marittimo di Očakiv.

Strategia del Generale Inverno

Ad inverno avviato, le truppe di invasione russe si trovano sulla difensiva lungo tutta la linea di contatto. «Gli scambi di artiglieria sono particolarmente intensi nel Donbas [pallini raggiati rossi], dove le truppe ausiliarie russe (Gruppo Wagner, milizie separatiste) sono impegnate da settimane nel tentativo di catturare la cittadina di Bakhmut, importante crocevia nell’oblast’ di Donec’k e unico saliente dove i russi conservano l’iniziativa bellica».

Spegnere l’Ucraina

«Con l’offensiva aerea del 10 ottobre con missili e droni kamikaze Geran-2 sulle infrastrutture nevralgiche dell’Ucraina è emersa la strategia russa di spegnere la luce all’intero Paese. L’attacco più forte è stato il 15 novembre, un paio di ore dopo il discorso – sgradito a Mosca – del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky al G20 di Bali. Le Forze armate russe hanno impiegato in quell’occasione oltre 90 missili per bersagliare centrali e sottostazioni elettriche e anche impianti idrici, lasciando senza acqua ed elettricità diverse ‘oblast’».

Il cuore del potere a Kiev

Anche la sede centrale dei servizi segreti di Kiev è stata colpita [pallino rosso 1]. Messaggio profondamente politico poco rilevato a mezzo stampa: la Russia si riserva l’opzione di attaccare anche i centri decisionali (presidenza, dicasteri, parlamento, amministrazioni locali, sedi Sbu), fino a oggi risparmiati dai bombardamenti.

La minaccia oleodotti

Il 15 novembre è stato danneggiato anche l’oleodotto Družba (Amicizia), che trasporta greggio dalla Federazione Russa alla Mitteleuropa mandando in cisi il governo ungherese che temeva per i propri approvvigionamenti energetici. Ma era solo un minaccioso assaggio, ed il flusso di idrocarburi attraverso l’oleodotto è ripreso il 23 novembre.

L’errore da terza guerra mondiale

L’incidente più clamoroso è costituito dal missile intercettore ucraino caduto su una fattoria a Przewodów, villaggio della Polonia a 6-7 chilometri dal confine con l’Ucraina. Fino all’ultimo momento, le autorità ucraine avevano negato che si trattasse di un missile delle proprie batterie d’origine sovietica S300. In attesa di inchieste ulteriori, i paesi membri della Nato hanno concordato con un rapido giro di telefonate la versione ufficiale (e più plausibile) dell’errore ucraino, pur addossando la responsabilità di quanto accaduto all’invasore russo.

 

Articolo dalla Redazione di

3 Dicembre 2022