DI GIORGIO CREMASCHI
Per ora si sa solo che aveva 52 anni e che era di origini egiziane . È stato divorato da una di quelle macchine che vediamo con qualche brivido nei film polizieschi. Quelle che afferrano la carcassa di una vecchia auto, la schiacciano e la trasformano in un compatto mucchio di ferro.
Alla Riam di Bollate, Milano, un operaio è andato a lavorare ed è finito in quelle spaventose mascelle d’acciaio che riducono in un cubo un’automobile, figurarsi un corpo umano.
È un omicidio efferato che non avrà alcuna giustizia. È sicuro che in quell’azienda non siano state rispettate le norme di sicurezza, altrimenti l’operaio sarebbe ancora vivo, anche se fosse svenuto per un malore, anche se fosse giunto ubriaco al lavoro, anche se fosse stato posseduto da istinti suicidi. Perché le norme e gli impianti di sicurezza sono fatti proprio per impedire che si muoia per situazioni impreviste. Solo che quella sicurezza costa e siccome nessuno controlla, le aziende risparmiano su di essa. E poi quale padrone è in carcere in Italia per aver ucciso sul lavoro? Nessuno. Eppure abbiamo quasi 1500 omicidi di lavoro all’anno.
I responsabili dell’azienda il cui macchinario ha stritolato Luana D’Orazio hanno patteggiato per meno di due anni di pena, sospesa e poi condonata. Si rischia molto di più a partecipare ad un rave che a togliere i fermi di sicurezza ad un macchinario pericoloso, per farlo lavorare più in fretta e con più profitto.
Del resto il governo si vanta di non disturbare “il fare” ; e la magistratura scopre ogni cautela e garantismo possibile solo quando deve indagare sui padroni delle imprese dove gli operai vengono assassinati per guadagno.
Uccidere gli operai conviene in Italia e i risultati si vedono.