DI ALFREDO FACCHINI
Il 21 gennaio del 1921 nasce a Livorno il “Partito Comunista d’Italia”, poi <<italiano>>. (1943)
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Prende il via una storia unica per il destino del nostro Paese.
Il Pci ha vissuto come ogni forma vivente più fasi. Dalla nascita alla morte. In mezzo splendori e miserie. Dal partito comunista di Bordiga e Gramsci, a quello clandestino del 1926-43.
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Da quello dei “Gap” a quello del <<partito nuovo>> di Togliatti. Da quello del <<compromesso storico>> di Berlinguer, fino a quello della “Bolognina” di Occhetto.
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Una mutazione genetica maturata nell’arco di circa 70 anni.
La lotta al Fascismo, la Resistenza, la mancata “spallata”, nonostante l’insurrezione delle città del Nord nel 1944-45: <<Lo so, compagni, che oggi non si pone agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia>> (Togliatti, Napoli 11 aprile del 1944).
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Il partito comunista nell’immediato dopoguerra conta due milioni e mezzo di iscritti, ma il “socialismo” per i suoi capi non e’ più attuale. Si trasforma, fino a convertirsi in altro. Si cerca la collaborazione con il mondo cattolico. Si mette in archivio il leninismo, la “Terza Internazionale “.
L’approdo sono il <<gradualismo>>, le <<riforme strutturali>>, <<l’unità nazionale>>. (Togliatti, discorsi di Napoli, Roma e Firenze).
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Governa con la “Democrazia Cristiana” fino al 1947. Togliatti firma l’amnistia per migliaia di fascisti. Poi la cocente sconfitta elettorale del “Fronte Popolare” nel 1948
Il PCI, tuttavia, negli anni ‘50 e ‘60 resta un faro per generazioni di lavoratori. Le lotte operaie e bracciantili. Le battaglie contro l’Alleanza Atlantica.
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Poi la metamorfosi. Il buio. Fino al suicidio: il partito si scioglie il 3 febbraio 1991 durante il “XX Congresso Nazionale”, quando la maggioranza dei delegati approva la svolta della “Bolognina” del segretario Achille Occhetto.
Muore il maggior partito comunista dell’Europa occidentale.
Dalle sue ceneri vedono la luce: il “Pds”, il partito democratico della sinistra e il partito della “Rifondazione comunista”.
Personalmente ho vissuto una delle fasi peggiori. Quando nel ‘77 il “partito comunista” scomunica il “Movimento” come uno «strano movimento di strani studenti». Chiudendo ad ogni forma di confronto. Sarebbe bastato mettere l’orecchio a terra per intuire il pericolo che si correva nel criminalizzare chi, per semplificare, si sentiva estraneo a quello che viveva come un “Regime”. Azzerando, tra l’altro, le differenze con chi decise di impugnare le armi.
Il più sordo di tutti è stato proprio chi, per statuto, non avrebbe mai dovuto esserlo: il partito comunista italiano.
Nessuno nella nomenclatura del partito si prese mai la briga di entrare in sintonia con una generazione, che per quanto <<brutta, sporca e cattiva>>, aveva bisogno che qualcuno l’ascoltasse.
<<Tutti parlano di noi, ma mai con noi>>.
Ma per sedersi e ascoltare ci vuole coraggio. Audacia nel farsi scandalizzare.
Per il “Pci”, ha contato una cosa sola: stare a guardia delle mura assediate. Accreditarsi come i tutori dell’ordine in nome della legge.
Tutto il resto: delazione e indifferenza organizzata.