DI ALFREDO FACCHINI
È la cronistoria, dal ‘48 ad oggi, dei “caduti” – operai, braccianti, studenti, sindacalisti – uccisi dai fascisti, dalle forze dell’ordine e dalla mafia. Una scia di vite spezzate.
1949 Maria
Maria vive e lavora a Filo D’Argenta, ma è nata a Chiavica di Legno, nel ravennate. E’ del 1915. Maria Margotti è ultima di quattro figli, in una famiglia di braccianti. Lavora anche lei nei campi. Ma allunga le giornate di lavoro in una fornace. Spinge carretti rigonfi di mattoni. Suo marito è morto di pleurite. C’è una famiglia da tenere in piedi. Due figlie, Alberta, la “Berta” e Giuseppina, la “Pina”. Maria, si sente un po’ mondina, un po’ fornaciaia.
Di lei la figlia, la “Pina” ricorda <<non andava in giro, era presa dal suo lavoro, dalle figlie, dalla famiglia. Era grande e silenziosa, parlava poco e non andava in giro; era una donna calma, senza nessuna ambizione>>. (Enciclopediadelledonne.it)
17 maggio 1949. Nel bolognese i braccianti, come in mezza Italia, sono in lotta. La “riforma agraria” è una promessa non mantenuta. A Molinella sono arrivati per lo sciopero con ogni mezzo dalle province di Ferrara, Ravenna e Bologna.
Sono in diecimila. Troppi per i carabinieri. Vanno dispersi. Tra loro c’è anche Maria, con un fazzoletto bianco sui capelli. Non è mai stata ad una manifestazione.
All’altezza del “Ponte Stoppino”, tra Campotto e Marmorta, un carabiniere in motocicletta, Francesco Galati, impugna il mitra d’ordinanza, un “Thompson”, spara una, poi un’altra sventagliata di proiettili.
I manifestanti sono lungo l’argine del fiume, al bordo della risaia. Un colpo prende in pieno proprio Maria, che cade moribonda in un lago di sangue. Ferita all’emitorace destro viene trasportata al vicino ospedale di Molinella, ma per lei non c’è più niente da fare.
Il “Consiglio delle Leghe“ di Bologna lancia subito lo sciopero generale in tutta la provincia dalle 5 di domani mattina alle 12, mentre l’”Udi” provinciale e la “Associazione delle vedove capo famiglia” invitano tutte le donne ad assistere alle due orfane.
Al “Senato”, così come alla “Camera dei deputati”, il governo nelle vesti del sottosegretario all’Interno, Achille Marazza, è chiamato a rispondere dei gravissimi fatti di Molinella. Il sottosegretario all’Interno, fornisce <<la solita versione provocatoria raggiungendo in certi momenti il grottesco quando ha dichiarato che i carabinieri non hanno sparato>>. (L’Unità del 22 maggio 1949).
Dunque, il canovaccio vuole, che se nessuno ha sparato, nessuno ha ucciso.
All’indomani la stampa governativa <<“dal “Popolo” alla “Voce Repubblicana”, dal “Tempo” al “Messaggero”, dall’”Umanità” al “Quotidiano”, inscenò immediatamente una fra le più violente campagne di menzogne, dirette a gettare sulla Camera del lavoro di Molinella e in primo luogo sui lavoratori comunisti, la mostruosa accusa di aver causato la morte di una contadina innocente>>. (L’Unità del 9 maggio 1950)
Le indagini sull’assassinio di Maria furono affidate al capitano Lugli, allo stesso ufficiale che quel giorno comandava le forze dell’ordine.
18 dei 22 lavoratori arrestati nella sera del 17 e nella giornata del 18 maggio, furono rilasciati dopo una settimana, mentre altri 4 vennero trattenuti in cella per 2 mesi. Chi invece non si fece neanche un giorno di carcere fu, Francesco Galati, il carabiniere assassino.
Solo dopo anni di tribolate battaglie legali, il 13 luglio 1953, la Corte d’appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, condannò Galati, a 6 mesi e 15 giorni di reclusione, con sospensione della pena e al proscioglimento di tutti i suoi superiori. Una sentenza figlia della complicità di una magistratura al servizio della borghesia del denaro e degli affari, non certo bocca della legge.
Commenta a un anno dagli avvenimenti su “l’Unità” del 18 maggio 1950, Renata Viganò, l’autrice di “L’Agnese va a morire”: <<È morta come poteva morire qualsiasi altra delle donne del Mulino di Filo, perché sono tutte braccianti e compagne, e allo sciopero tutte aderiscono (…); è diventata un simbolo, una bandiera, la prima bracciante caduta nello sciopero della primavera del ’49, un nome, una figura che esce dai nostri piccoli ricordi di compagni per entrare nel rosso elenco dei caduti per l’umanità, per la gioia, per il lavoro, il pane dell’umanità>>. (Collettiva.it)