DI MARIO PIAZZA
Avrei voluto condividere questo post una settimana fa, quando i media a reti unificate si accanivano sulla cosiddetta “mafiosità” dei Siciliani.
Ho vissuto in Sicilia negli anni ottanta, quelli che videro gli omicidi eccellenti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Basile, Lipari, Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici, Pippo Fava, Ninni Cassarà, il generale Dalla Chiesa e infiniti altri. Un’ecatombe, cose terribili che avrebbero dovuto tenere un milanese come me ben alla larga da chiunque avesse anche solo un vago sentore di mafia.
Ve lo dico subito… Non è stato possibile, certamente non per chi come me era sbarcato in Sicilia per lavorare.
Ovunque mi girassi la mafia era là ad aspettarmi, dalla ricerca di un’abitazione a quella delle strutture necessarie per il mio lavoro, dal reclutamento dei collaboratori al disbrigo delle pratiche burocratiche fino alla vita privata, quella di un trentenne che aveva anche una gran voglia di divertirsi.
Assuefarsi alla mafia è la cosa più facile, più delle sigarette e della cocaina.
In poche settimane fui costretto a smettere di chiedermi quali mani stessi stringendo, a chi stessi pagando gli affitti, chi fossero i proprietari dei locali che frequentavo, come mai mi fossero riservati vantaggi che neppure avevo chiesto. E’ come abitare accanto a una raffineria, dopo un po’ non senti più la puzza e pensi solo a quanto poco ti è costata quella casa bellissima.
Perché la Sicilia, puzza di mafia a parte, è uno dei posti più belli del mondo e ci si vive alla grande godendosi il sole, le spiagge, il profumo della zagara, le campagne selvagge e le vestigia greche, la gente e il cibo, roba che nella pianura padana te la puoi solo sognare e persino sognarla ti costerebbe una fortuna.
Ci si potrebbe ribellare? Certo, ma solo se si è degli eroi e se si è disposti a mettere a repentaglio tutto ciò che si possiede di materiale e di spirituale, e lo si dovrebbe fare in nome di una legalità di cui le istituzioni sembrano strafottersene nella stragrande maggioranza dei casi.
Si può entro certi limiti non mescolarsi alla mafia, farsi i fatti propri per bisogno e per paura aspettando che il primo pagliaccio di passaggio ti accusi di omertà o di connivenza.
Si può e si deve denunciare un reato di cui si è a conoscenza e ancor più la presenza di un pericoloso latitante ma occorre farlo, se non si è degli eroi, in forma strettamente anonima perchè non sai mai chi verrà a conoscenza della tua denuncia e mentre lo fai ti domandi “ma perchè proprio io?” quando la presenza di quel latitante è nota a tutti e da trent’anni non accade nulla. L’alternativa è andarsene, e quando l’ho dovuto fare il cuore mi si è spezzato in mille pezzettini.
Prima di passare al prossimo argomento vorrei chiedere una cosa a chi sostiene che Messina Denaro si sia consegnato spontaneamente. Mi spiegate di preciso perché avrebbe dovuto farlo? Scegliere di finire i suoi giorni in una cella al 41bis invece di andare a morire serenamente e con la migliore assistenza medica disponibile in una qualsiasi parte del mondo?