DI ENNIO REMONDINO
Se ne litiga da mesi con toni più da bazar che da diplomazia ma alla fine, Kiev avrà i carri armati. Non si sa bene quanti e neppure quando, ma un po’ saranno tedeschi e altrettanti americani, come chiedeva il cancelliere tedesco. Lo rivelano il Wall Street Journal e Der Spiegel) con la concomitanza che chiedevano i tedeschi. Ma Zelensky, a sorpresa -fino a un certo punto-, ha anche problemi interni.
Sembra incredibile che in un Paese stremato da quasi un anno di guerra ci siano dirigenti che hanno approfittato della situazione rubando. Sta di fatto che nel giro di 48 ore, tra arresti e dimissioni, sono saltati 10 tra viceministri, e alti dirigenti nazionali e locali.
E l’improvvisa sequenza di inchieste, indiscrezioni e dimissioni che scuote i palazzi del potere di Kiev sembra avere riportato l’Ucraina alla lotta tra clan degli anni passati, una lotta alla quale Stati uniti e Unione europea hanno spesso avuto parte.
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Carri armati si, carri armati no, e per farne cosa
Rivelazioni del Wall Street Journal e di Der Spiegel che anticipano decisioni prese. L’Ucraina avrà «un numero significativo» di carri Abrams americani e almeno ‘una compagnia’ (14) di Leopard tedeschi. In più, Berlino autorizzerà i governi a cui ne ha già venduti, a cederli all’Ucraina. La Polonia più di tutti, se il suo premier smette di dichiarare a casaccio attaccando la Germania più della Russia, invocando una ‘sotto Nato baltica’ che escluda Berlino. A quanto ora risulta chiaro, il cancelliere tedesco Scholz, voleva il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, un po’ per copertura, un po’ per non fidarsi. Timore condiviso, un salto di qualità del conflitto, con una risposta dei russi che finisca per coinvolgere più direttamente l’Occidente.
E Zelensky mentre aspetta i 300 carri armati chiesti che non saranno 300?
Purga anti corruzione e resa dei conti politica interna. Accede in un Paese stremato da quasi un anno di guerra. Nel giro di 48 ore, tra arresti e dimissioni, sono saltati il viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozynsky, quello della Comunicazioni Vyacheslav Negoda e quello dei Territori Ivan Lukerya, oltre al vice Procuratore generale dello Stato Oleksiy Symonenko al numero due dell’ufficio presidenziale Kyrylo Tymoshenko. Il caso più grave è quello di Lozynsky, colto «mentre incassava una mazzetta da 400 mila dollari per agevolare la firma di contratti per la riparazione del sistema elettrico», come denuncia Andrea Nicastro sul Corriere della Sera. Symonenko è «chiacchierato per delle costosissime vacanze estive in Spagna». Ma il caso politicamente più spinoso è quello di Tymoshenko, che fa parte del ‘cerchio magico di Zelensky’. Lo chiamano «il padrino delle regioni» e gira in Porsche elettrica.
Come ha reagito il presidente? Con un divieto di espatrio per quasi tutti i funzionari pubblici, nel timore che scappino con i soldi. E, come suo costume, con un video-selfie: «Voglio essere chiaro, non ci sarà un ritorno alle vecchie abitudini».
Arresti e dimissioni, una guerra dei clan scuote Kiev
Prima di essere aggredita dalla Russia, l’Ucraina era mangiata in casa. Solo un anno fa il rimprovero Ue che definiva l’Ucraina «prima in Europa per livello di corruzione», col suo cammino verso l’Unione europea condizionato alla soluzione del problema «attraverso nuove leggi e una magistratura più autonoma». Detto apertamente, anche oggi, in piena guerra, Paesi donatori temono un assalto agli aiuti e chiedono un ufficio anti corruzione totalmente indipendente. Timofii Milovanov, che dirige la Scuola di Economia di Kiev e consiglia il presidente ucraino, prova a minimizzare e rassicurare. «Nel nostro paese è in corso una grande svolta culturale: la corruzione è un fatto episodico, ma la lotta alla corruzione è diventata sistemica». Eppure, l’improvvisa sequenza di inchieste, e dimissioni –arresto ancora nessuno-, che arriva sino all’ufficio dello stesso Zelensky, sembra avere riportato l’Ucraina alla lotta tra clan degli anni passati, sottolinea Luigi De Biase sul Manifesto.
Ruberie, disagi interni e legittimi sospetti
Va anche detto che secondo le ultime stime dell’Istituto Kiel, su Kiev sono piovuti ben 108 miliardi di dollari di aiuti, circa la metà del pil nazionale pre guerra. Alla catena di corruzione e ruberie che sta coinvolgendo molti vertici dello Stato -e non sembra che la ‘mani pulite ucraina’ sia ancora finita- si aggiunge la tragedia che la scorsa settimana è costata la vita al ministro dell’Interno, Denis Monastirkii, al suo vice, Evgeni Yenin, e al segretario di stato Yurii Lubkovic. I tre erano a bordo di un elicottero caduto a Brovary, nel distretto di Kiev. Sulle ragioni dell’incidente il riserbo è ancora massimo. Il ministero dell’Interno ha un peso notevole negli equilibri politici dell’Ucraina.
Dal quel ministero ora decapitato dipende, gran parte dell’azione della Procura generale e degli organismi anti-corruzione, dall’altro -settore forza ancora più delicato-, dal controllo diretto sui 90mila uomini della Guardia nazionale, di cui fanno parte anche i battaglioni Azov e Donbass.
Anticorruzione pericolosa
Monastirski, 42 anni, aveva assunto l’incarico nel luglio del 2021, dopo le dimissioni di Arsenii Avakov. Yenin, era entrato nella squadra dell’Interno un paio di mesi più tardi, dopo avere servito ai vertici della Procura generale e al ministero degli Esteri. «Visto il clima di scontro nelle istituzioni, la domanda in queste ore a Kiev è la seguente: chi sarà il prossimo?», scrive De Biase. «Fra i possibili obiettivi, scrive il portale di informazione Strana, una delle ultime voci indipendenti nel panorama della stampa ucraina, ci sarebbero due fedelissimi di Zelensky come il premier, Denys Shmyal, e il capo dell’amministrazione presidenziale, Andryi Yermak».
Perché colpire intorno a Zelensky? E perché adesso?
Sempre secondo Strana, la possibile soluzione passa per il ‘Nabu’, l’Ufficio nazionale anticorruzione (in ucraino: Національне Антикорупційне Бюро України; НАБУ). La sede è a Kiev, mentre ci sono altri tre uffici regionali a Leopoli, Odessa e Charkiv, quest’ultimo coinvolto in tutti i casi degli ultimi giorni e conosciuto per i rapporti con diversi governi stranieri. L’ipotesi, quindi, è che ‘attori esterni’ cerchino di ottenere maggiori garanzie sugli investimenti miliardari compiuti negli ultimi mesi, anche a costo di limitare i poteri di Zelensky.
Nel 2014 nel governo ucraino entrarono un ministro lituano, Aivaras Abromavicius, all’Economia, uno georgiano, Aleksander Kvitashvili, alla Sanità, e uno con passaporto americano, Natalia Yaresko, alle Finanze. Allora negli Stati Uniti Joe Biden era vicepresidente.
Articolo di Ennio Remondino, dalla redazione di
25 Gennaio 2023
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