DI ENNIO REMONDINO
Sanzioni inutili nei tempi brevi, ammettono ma non dichiarano. Se all’embargo si sperava di impedire la guerra, o almeno di limitarne la durata, la risposta è un No senza contestazioni. Illusione iniziale, era che le sanzioni inceppassero rapidamente la macchina da guerra russa, suscitando assieme un forte malcontento pubblico, quando le sanzioni avessero compromesso il tenore di vita dei russi. Errore di analisi e di ingenuità rispetto dell’import parallelo e alla nuova globalizzazione col trucco anti sanzioni ormai praticata da tutti.
Cosa non può funzionare nelle sanzioni
Washington e molte altre cancellerie occidentali, avevano gravemente sottostimato due elementi, denunciava Fabrizio Maronta su Limes: l’entità degli introiti di Mosca e la disponibilità di alcuni grandi paesi ad acquistarne gli idrocarburi. «Il riferimento è ovviamente a Cina e India, ma anche a soggetti meno ovvi. Su tutti l’Arabia Saudita, che pur essendo un esportatore netto di petrolio in questi mesi di guerra ha acquistato greggio russo usandolo nelle sue centrali elettriche e liberando così volumi di produzione nazionale per l’esportazione, lucrando sulla differenza tra il prezzo d’acquisto (a sconto) del petrolio russo e quello di vendita (a prezzo pieno, lievitato inizialmente per lo shock bellico) del proprio».
“Le sanzioni hanno colpito l’economia russa, ma non nella misura sperata e di certo non tanto da costringere la Russia a negoziare», lamentano alti esponenti dell’amministrazione Biden alla Cnn”.
Cosa è andato storto? La lista è lunga
- Uno: con l’iniziale impennata dei prezzi, nei primi sei mesi di guerra la Russia ha incamerato quasi 160 miliardi di euro dalla vendita di gas, petrolio e carbone. Molto più di quanto la Casa Bianca si aspettasse. I fertilizzanti di produzione russa non sanzionati hanno reso quasi 17 miliardi di dollari tra febbraio e dicembre (+70% rispetto allo stesso periodo del 2021) transitando tranquillamente per il Mar Nero.
- Due: la Banca centrale russa è stata abile nel gestire l’impatto delle sanzioni. Il sequestro delle riserve (oro e valuta estera) detenute da terzi ha decurtato del 40% circa il tesoro dell’erario russo. Ma la riconosciuta competenza dei vertici della Banca centrale e l’entità delle riserve ancora nella disponibilità di Mosca, hanno lasciato al Cremlino una somma sufficiente ad assorbire il colpo.
- Tre (cruciale): le sanzioni puntavano a inceppare l’economia reale russa, impedendole di funzionare. Presto, però, gli importatori russi si sono dimostrati abili nell’aggirare gli embarghi settoriali, mentre gli esportatori facevano altrettanto.
- Risultato: tra gennaio e settembre 2022 la bilancia commerciale russa registrava un attivo di quasi 200 miliardi di dollari, circa 120 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Le stime per il 2023 indicano un possibile surplus di 100 miliardi: «molto meno, ma non male per un’economia soggetta a sanzioni di ogni tipo».
Aggiramento dell’embargo
L’esagerato ricorso, da parte statunitense, alle sanzioni come strumento coercitivo nella pratica geopolitica degli ultimi decenni, forte dalla centralità del dollaro e politica di Washington nei circuiti finanziari globali. Ma le economie sanzionate hanno usato a loro difesa proprio la globalizzazione di stampo americano che ha moltiplicato i canali di approvvigionamento e sbocchi commerciali, con Stati e aziende pronti a trattare con il sanzionato, sfruttandone la condizione per acquisirne “a sconto” le risorse e vendergli “a premio” il necessario.
Basta non usare il dollaro
Nel 2020 la Cina ha per la prima volta regolato oltre metà del suo commercio con la Russia in ‘renminbi’ e rubli, sottraendolo ai meccanismi sanzionatori. Poi le valute digitali, cioè la versione digitale delle monete sovrane, da non confondere con le criptovalute. Anche in questo campo, la Cina è capofila: circa 300 milioni di cinesi (grossomodo la classe media del paese) usano oggi il ‘renminbi digitale’ in oltre 20 città, tra cui ovviamente Pechino, Shanghai e Shenzhen, che da sole fanno 60 milioni di abitanti.
“Il sistema, oltre a depotenziare le sanzioni, crea purtroppo coni d’ombra per flussi finanziari illeciti – evasione, riciclaggio, traffici illegali, terrorismo – sottraendoli alle autorità statunitensi e degli altri paesi intenti a contrastarli”.
I trucchi della Russia in guerra
Il petrolio è esportato occultandone l’origine. Come? Mescolandolo con greggio di altra provenienza, mix noto come ‘miscela lituana o turkmena’. Se il petrolio russo presente è inferiore al 50%, la miscela non è più di origine russa ed è così sdoganata. Mentre l’esclusione dai circuiti di pagamento elettronico (Visa, Mastercard, American Express) è invece superata attraverso il cosiddetto turismo delle carte di credito. Soggetti russi e bielorussi sanzionati aprono conti in banche di paesi non sanzionati (12 mila al marzo 2022 nel solo Kazakistan): non possono usarne le carte su sistemi e in negozi russi, ma possono pagarci servizi stranieri e abbonamenti online.
L’import parallelo
L’importazione di beni leciti ammessi al consumo con il consenso del produttore. La scappatoia si chiama «decadenza del diritto d’autore» (copyright exhaustion) e che consente il diritto al controllo con la prima vendita dello stesso. Una amico compra e poi rivende e la triangolazione è fatta. L’ente statistico russo (Rosstat) calcola che nel 2022 le ‘importazioni parallele’ abbiano toccato i 16 miliardi di dollari, contro un crollo delle importazioni ufficiali tra il 50% e il 70%. Infine, le società russe sanzionate possono operare ristrutturazioni aziendali per occultare i beneficiari ultimi dei beni.
Caso tipico è quello degli oligarchi che liquidano i loro asset trasferendoli ad amministratori fiduciari.
“Dal Chelsea di Abramovič in giù (o in su), gli esempi abbondano», annota Fabrizio Maronta”.
Sanzioni Russia-Italia
Sulla carta l’embargo pregiudica oltre il 44% dell’interscambio italo-russo, per un valore di circa 10 miliardi di euro (rispetto al 2019). L’export italiano sanzionato è di circa 4 miliardi di euro. L’impatto reale nel 2022 non ha però superato il miliardo di euro, mentre per il 2023 dovrebbe attestarsi sotto i 2 miliardi. Al netto degli aggiramenti, infatti, non tutti i 4 miliardi di export sanzionato (dalla Ue o dall’America) sono effettivamente bloccati, grazie a molti “criteri di deroga”.
Sanzioni colabrodo
Il dicembre scorso la Commissione ha proposto di rendere penalmente rilevanti e sanzionabili in tutti gli Stati dell’Unione le violazioni. Accompagna la proposta una lunga «lista dei reati connessi alla violazione delle sanzioni», catalogo di Arsenio Lupin che bene illustra la sottile arte del contrabbando.
La guerra prevista se non voluta
Gli indicatori ufficiali non raccontano davvero la guerra: nel 2022 il pil russo si è contratto del 2%, il bilancio federale è in corposo attivo, alla Borsa di Mosca il rublo si è rafforzato. Dati drogati dall’impennata (+33% rispetto al bilancio originario 2022) della spesa militare. I 200 miliardi di surplus commerciale dei primi mesi di guerra molto devono al crollo delle importazioni e ai forti rincari di gas e greggio.
«Se il rublo non ha fatto la fine del marco di Weimar, Putin deve ringraziare una Nabiullina impossibilitata a dimettersi che ha adottato misure draconiane. Queste hanno sì evitato il collasso della valuta russa, ma ne hanno distrutto la convertibilità mettendola in uno stato di ‘coma indotto’, come brutalmente sintetizzato dal Wall Street Journal».
Componentistica e tecnologie occidentali
Si tratta delle filiere più complesse e transnazionali, che beneficiano meno dell’effetto sostitutivo sull’import (il made in Russia che soppianta i prodotti importati). Mosca non ha risparmiato sforzi per tenere in piedi canali d’importazione parallela della microelettronica. Tra marzo e ottobre il paese ha importato computer e relativa componentistica per 2,6 miliardi di dollari, quasi 800 milioni dei quali di produttori occidentali 28: soprattutto le americane Intel, Amd (Advanced Micro Devices), Texas Instruments e Analog, oltre alla tedesca. Infine on, i cui componenti sono sistematicamente rinvenuti nei resti delle armi più sofisticate usate dai russi in Ucraina.
“A garantire questo flusso è una galassia di importatori oscuri operante da Cina (Hong Kong), Turchia e altri paesi non sanzionanti. Ma in alcuni casi anche dalla Ue, come appurato per un intermediario che agiva da Tallinn (Estonia)”.
Mosca stop dettagli sul commercio internazionale
L’import parallelo, peraltro, non è pienamente assimilabile a quello ufficiale. Procurarsi prodotti «di marca» per vie traverse è complesso, e normalmente più costoso, il che alimenta l’inflazione. Questa nel 2022 si è attestata ufficialmente sotto un non trascurabile 12%, ma di norma Rosstat tende a sottostimare gli aumenti dei prodotti di base e a sotto rappresentare il cibo nel suo paniere statistico, ed è probabile che il dato reale sia maggiore.
Quanti soldi ha il governo russo?
La domanda delle domande. Risposta: pochi per compensare il deterioramento strutturale della sua posizione economico-finanziaria; abbastanza per continuare la guerra. Probabile il collasso del fronte interno russo con rivolte di piazza e cambio di regime, che visti i precedenti storici (1917, 1991) implicherebbe forse il collasso dello Stato russo? Lettura da analisti Usa, ‘non probabile’ stante la popolarità di un conflitto ritenuto giusto dai più perché venduto e accettato come guerra difensiva contro un «Occidente collettivo» sprezzante e minaccioso.
Washington e Keynes
Quella in corso è ormai una conclamata guerra tra America e Russia, con l’obiettivo Usa del ridimensionamento strutturale della potenza russa. Costi quel che costi. Anche se l’altra voce dell’amministrazione citata in apertura offriva una visione diversa, più realista delle sanzioni: «Volevamo degradare le capacità economiche e industriali russe. Pertanto, fin dall’inizio abbiamo concepito questo esercizio come uno sforzo a lungo termine».
“Parafrasando Keynes, nel lungo periodo tuttavia potremmo essere tutti morti”.
Articolo di Ennio Remondino, dalla redazione di
16 Marzo 2023