DI LEONARDO CECCHI
Quando tornò a casa dalla prigione, scoprì di aver perso tutti i figli, sette.
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La moglie, Genoeffa, venne poi a mancare poco dopo di crepacuore per lo strazio subito dai suoi figli.
I nazifascisti gli avevano portato via tutto.
La casa bruciata, la famiglia sterminata.
Tutto perché Alcide Cervi era un partigiano e in Emilia aiutava chi cercava aiuto, supporto. Dava riparo e rifugio a chi fuggiva dalle rappresaglie.
Resistette, tirò avanti nonostante lo strazio. Perché “con quattro donne e undici nipoti piccoli…dovevo campare ancora qualche anno, avere ancora forza di lavorare”.
A settant’anni, vedovo e con quella tragedia alle spalle, si rimise a lavorare, a fare il contadino, e si prese cura di tutti. Tutti i suoi nipoti rimasti orfani, le nuore rimaste vedove.
Se ne andò solo quando il suo compito ebbe termine.
Era il 27 marzo del 1970, aveva ormai raggiunto 95 anni. Al funerale parteciparono 200mila persone.
In questo giorno, ricordiamo allora Alcide Cervi.
Uomo, italiano, partigiano la cui memoria non va dimenticata.