DI PIERO ORTECA
Anche la Turchia ha approvato l’ingresso del 31° paese nell’Alleanza Atlantica, mentre la Svezia deve ancora attendere. E accade, politicamente non a caso, alla vigilia di elezioni in cui la premier Sanna Marin che quella svolta ha fortemente voluto, rischia una sconfitta politica. Turchia a forte spinta Usa. La convalida turca tre giorni dopo l’altrettanto atteso sì del parlamento dell’Ungheria.
Interferenze a premio di atlantismo
È stata una faticaccia diplomatica ma, alla fine, la Casa Bianca ce l’ha fatta. Ha ‘convinto’ il Presidente Erdogan a garantire il via libera della Turchia, per l’adesione della Finlandia alla Nato. L’azione concentrica del Segretario di Stato Usa, Antony Blinken e del Segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha ottenuto un preziosissimo risultato sul filo di lana: domani, infatti, si vota nel Paese dei mille laghi. E la premier, la giovane e barricadera anti-russa Sanna Marin, rischia di perdere la poltrona a favore di una coalizione destrorso-populista che vorrebbe maggiore prudenza in politica estera. Insomma, per essere chiari, se dovesse vincere questo blocco, l’impegno a favore dell’Ucraina sarebbe molto più annacquato. Una posizione che a Washington non gradiscono. Per cui l’aiutino in arrivo da Joe Biden (via Ankara) potrebbe contribuire a salvare l’unità di un’alleanza occidentale dietro la cui facciata s’infittiscono i disagi.
La Turchia a caro prezzo
L’Assemblea nazionale turca ha votato giovedì notte, concedendo l’approvazione che autorizza la Finlandia a diventare il 31. membro della Nato. Adesso occorreranno altre settimane per rifinire le formalità. Certo, Erdogan, interpretando fino alle estreme conseguenze il suo ruolo di funambolo della nuova geopolitica euroasiatica, ha ‘venduto’ il suo consenso a peso d’oro. Intanto, si è tenuto le mani libere, perché continua a bloccare (con la scusa dei terroristi curdi emigrati) l’ingresso della Svezia nell’Alleanza. Contemporaneamente, fa grande business, fungendo da sponda commerciale per la Russia, in modo da aggirare le sanzioni economiche. Come autorevole socio dell’Alleanza atlantica, inoltre, ha il raro privilegio di tenere il piede in due staffe. Riceve armi tecnologicamente avanzate dall’Occidente e acquista sistemi missilistici (S-400) dalla Russia. Controlla (?!?) il Bosforo e dovrebbe monitorare l’ingresso delle navi da guerra nel Mar Nero, in base alla Convenzione di Montreux, che gli conferisce un certo potere discrezionale.
“Do ut des” di arsenali
Ovviamente, il ‘do ut des’ più evidente, dietro le giravolte diplomatiche del ’sultano’, riguarda il rifornimento di materiale bellico in arrivo dagli Stati Uniti. Dunque, qual è il prezzo pagato da Biden per tenersi buono Erdogan? Gli analisti puntano il dito sulla fornitura di almeno altri 40 caccia F-16 (ultima versione) e di un raffinato kit di aggiornamento per altri 80 jet. Nel carrello della spesa rientrerebbero anche 900 missili aria-aria e 800 bombe a guida laser. E questa è solo una parte del discorso e dell’esborso.
Equazione politica con la Grecia
C’è poi un’altra complicatissima equazione geopolitica, che Dipartimento di Stato e Pentagono devono risolvere. Armare fino ai denti la Turchia, significa mettersi contro la Grecia. Allora, per bilanciare l’intervento, hanno suggerito gli adviser a Biden, bisognerà concedere al governo di Atene almeno una trentina di caccia da superiorità aerea F-35. Da dove eravamo partiti? Ah, già. Dalla minaccia di Putin di invadere l’Europa che, con un esercito che ha già avuto, in proporzione, tanti morti quanti se ne potevano contare nei carnai della Prima guerra mondiale, però, finora non è stato in grado di conquistare manco quattro villaggi del Donbass. E allora, torniamo alla Finlandia e alla ‘spintarella’ turco-americana.
Problemi sui leader al potere
Forse la ‘maledizione’ politica, che finora ha colpito tutti i leader al potere, non si abbatterà anche su Sanna Marin. D’altro canto, chi ha governato, tra mille burrasche, negli ultimi tre anni, ha sempre pagato pegno. Ai confini orientali, dalle parti della Carelia, i 1.300 chilometri che dividono la Finlandia dalla Russia sono tornati a essere ‘zona di guerra’. Dopo la sgangherata invasione dell’Ucraina, una mossa che, geopoliticamente sembra fatta da una manica di feroci sprovveduti, i finlandesi sono entrati daccapo in fibrillazione. Il motivo è presto detto: la socialdemocratica Marin, come spesso capita a molti idealisti, non è molto portata per la ‘realpolitik’. Così si è spinta anche a promettere all’Ucraina aerei da guerra, quando gli altri Stati Nato, invece, facevano finta di discutersela, nel tentativo di prendere tempo.
Dalla neutralità all’oltre Nato
Alla spericolata premier, ovviamente, hanno subito risposto, affilando i coltelli, i suoi principali avversari: il conservatore Petteri Orpo (della Coalizione nazionale) e la populista di destra Rikka Purra (Partito dei finlandesi). Naturalmente, l’hanno accusata di avere fatto il passo più lungo della gamba. Anche se nessuno si sogna di manifestare la benché minima simpatia per le tesi di Putin. È solo una questione di strategia o, se vogliamo, di opportunità. I due ‘competitors’ chiedono alla Marin maggiore prudenza, anche se sanno che l’80% dei finlandesi è ora, dichiaratamente, a favore dell’ingresso nella Nato.
“Sanno, però, di essere la ‘marca’ di confine, e che se le cose dovessero prendere una brutta piega, proprio la Finlandia sarebbe la prima a dover pagare dazio. Vedremo domani come andrà a finire”.
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AVEVAMO DETTO
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
1 Aprile 2023