DI MARIO PIAZZA
Non credo fossero in molti ma chi si aspettava da Giorgia Meloni una pubblica abiura del fascismo in stile galileiano come era prevedibile è rimasto deluso.
Data per scontata la legnosa presenza all’Altare della Patria ciò che la presidenta ci ha rifilato è una confessione sotto forma di lettera, anzi di letterina per quanto è pedestre, dove viene inanellato tutto il repertorio di chi si sforza senza riuscirvi di smettere gli abiti macchiati di sangue del neofascismo bombarolo e golpista per indossare quelli freschi di tintoria del “fascista 2.0”.
Ci ha infilato di tutto in quella letterina.
Ci ha messo la glorificazione dell’amnistia generale per gli assassini e i torturatori di Salò, primo tra tutti quell’Almirante che sarebbe diventato il suo mentore politico. Ci ha messo la condanna di chi proprio per quell’oscena amnistia ha dovuto cercare qualche riparazione agli orrori che aveva subito prendendo la giustizia nelle proprie mani. E’ persino riuscita a infilarci la penosa comparazione tra i lager nazisti e le foibe. E come un prestigiatore da sagra paesana ha provato a trasformare la celebrazione della sconfitta del nazifascismo in una fantasiosa “festa della libertà” che accomuni diluendoli tutti i totalitarismi, come se a Marzabotto ci fossero stati i russi o i cubani a sterminare un intero paese.
Che noia, ragazzi… tempo e inchiostro sprecati perché c’è una sola verità che non può certo essere smontata dal pensiero debole di Berlusconi, Del Noce e Pansa e neppure dalla probabilmente apocrifa citazione della partigiana Renata.
La verità ve la faccio dire parafrasandolo da un personaggio immaginario come Forrest Gump: “Mamma dice che fascista è chi il fascista fa, eh!”